Ascoltando ieri di nuovo, dal pulpito di Fabio Fazio, Vito Mancuso studioso di teologia, oltre che una delle nuove stars spirituali (!) mediatiche, in contraddittorio sottile con lo scienziato Veronesi, ho ricordato una frase che disse in una intervista precedente e che ieri, stranamente, non ha ripetuto. Forse sosteneva la parte del mistico “credente”?
Aveva tradito nel discorso di allora la sua, a mio avviso apprezzabile, vocazione umanista, rispondendo alla fatidica domanda di Fabio Fazio: “Cosa vuol dire per te credere in Dio?”. Quasi allo stesso modo in cui rispose mirabilmente anche Eugenio Lecaldano in “Etica senza Dio”. La replica di Vito Mancuso, inequivocabile, in sintesi è stata: “Credere in Dio significa che la passione per il bene e la giustizia che è dentro di noi è l’attestazione di una realtà più profonda che tradizionalmente dagli uomini viene chiamata Dio”
In definitiva Dio non sarebbe altro che il “nomen” con cui gli uomini hanno sempre identificato il senso di giustizia, di uguaglianza, di libertà e in generale di bene che appare innato in loro stessi. La frase dal sen fuggita di un teologo famoso fa ben riflettere, come fa pensare che ieri, di fronte al laico Veronesi, non sia stato lo stesso: esigenze di copione?