I tabù dell’educazione

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Una recensione di Stefania Squadroni 

“Per una pedagogia della rabbia così com’è. 

I tabù dell’educazione di Paolo Mottana è un libro pungolatore, denudante e in lotta con tutte le nostre ipocrisie. Non aspettatevi carezze, né baci e abbracci, ma tanti schiaffi. Ricevere schiaffi è il destino dell’uomo, è il destino dell’educatore.

Il fine del libro, credo, sia quello di risvegliare, si è infatti soliti dare piccoli colpetti in faccia all’uomo svenuto. Prima ancora di leggerlo sapevo che sarei stata colpita dalle parole in esso contenute, infatti ho avuto il coraggio di aprirlo molti mesi dopo averlo acquistato, ma questa per me è una regola che vale per tutti i libri dell’autore. 

Questo libro dovrebbe rientrare nel novero dei testi obbligatori per chi desidera svolgere la professione di educatore, e cestinarne altri (uno a caso “la storia delle Barbie”). Le parole devono suscitare emozioni e pensieri tra loro sempre contrastanti (mantenere il molteplice nell’unità), le parole interpretano, smontano, creano e trasformano i pensieri e le immagini. Ma veniamo al dunque. 

Sono tre i tabù di cui subisco il fascino: Eros, violenza, morte.

Questi tre tabù condividono molte emozioni tra le quali primeggia la rabbia, almeno per me, e forse anche per gli adolescenti. 

Il mio sguardo ora va a loro, a tutti quei ragazzi che hanno trascorso un po’ della loro vita con me. Penso alla scuola, ma soprattutto ai reparti psichiatrici. La rabbia è pane quotidiano, sia a scuola che in comunità. La rabbia è pane quotidiano anche nella mia vita.

“Perché elaborare l’aggressività non è probabilmente o principalmente neutralizzarla a forza di buoni sentimenti, esercizi di intelligenza emotiva, ma assumerla nella sua specificità, riconoscerla come una pulsione degna di considerazione, di dignità e di una peculiare e non allopatica elaborazione. L’aggressività si educa anche con l’aggressività, la violenza cieca con una violenza vigile, la forza con una disciplina della forza e della difesa”. Questa parte incarna quanto ho spontaneamente praticato in questi ultimi dieci anni di lavoro educativo con costanti sensi di colpa, continue incertezze e critiche. Sarà per un tratto costituzionale, culturale, educativo…ma nel lavoro e nella vita non posso fare a meno della mia rabbia, che a volte si è dimostrata un vero salvavita. I ragazzi questo me lo leggono negli occhi, come io leggo la rabbia nei loro occhi e ci riconosciamo. Non ho mai avuto paura delle infinite aggressioni fisiche e verbali subite, alle quali ho sempre reagito con altrettanta forza. 

Ogni volta che ho cercato di “gestire” la mia e l’altrui rabbia ho sempre fallito (il controllo delle pulsioni per mano di un agente esterno è sempre castrante e trasforma tutto in perversione). Nemmeno i farmaci ci riescono…provare o vedere per credere. Vuoi rompere tutto?Per me lo puoi fare. Posso insegnarti a fare la guerra? Non credo, la guerra è già dentro di te, potrai però conoscere il limite che incontrerai a causa dell’attrito sulla massa, il mondo esterno, la strada (l’asfalto offre maggiore attrito), sarà questo limite che ti trasformerà, forse, e non sappiamo se in bene o in male. 

Posso assicurarvi che non è scontato non avere paura della rabbia (propria e altrui) che si manifesta a noi così nuda e cruda con tutta la sua ferocia e non c’è Buddha che possa contenerla, perché la rabbia (così come la guerra) è incontenibile e ineducabile, se si sceglie di agirla la si deve trattare per quello che è, senza mezzi termini o imbellettamenti. 

Quindi che fare? Niente, sperare che l’impatto con i limiti interni ed esterni non sia troppo doloroso, perché se per un attimo dimentichiamo, per un delirio di onnipotenza, che la vita è nera sarà lei a ricordarcelo. 

Sono altre le manifestazioni di violenza che mi spaventano, quelle che non si palesano, “le violenze invisibili”, agli occhi poco allenati…perché è questo il vero esercizio educativo, rendere l’occhio esperto per cogliere l’essenza delle cose (il seme quando è ancora in potenza). Le donne dovrebbero maggiormente esercitarsi in questa arte, perché è sotto gli occhi di tutti la nostra incapacità di non saper prevedere l’ovvietà di certi decorsi. 

Ci si chiede se queste guerre invisibili non siano il risultato di un’educazione castrante e oscurantista, guerre abbellite da un’educazione ipocritamente pacifista, ma forse, ed è questa la mia riflessione, anche da un’educazione alla guerra giusta, una guerra sublimata in senso costruttivo, positivo, che si trasforma in una guerra sotto traccia. L’arte di fare la guerra cerca di arginare un fiume in piena, così come l’arte dell’amore cerca di addomesticare il desiderio (è impossibile catturare una stella), con conseguenze spesso disastrose. Perfettamente congruente con la società dell’immagine che ci vuole sempre belli e con il sorriso, è l’apprendimento di nuove modalità per fare la guerra. La rabbia non fa parte di queste nuove strategie, nemmeno l’invidia, la gelosia, l’avidità, il potere…o almeno in apparenza, perché queste non si mostrano per quelle che sono, perché sono appunto sublimate,celate (troppo brutte da mostrare). Sembra di vivere in una società dove trionfa l’io, un io che non  lascia spazio all’inconscio che, montandosi dal basso, deve essere anestetizzato con urgenza. L’essere di una cosa non deve necessariamente esistere, ma se deve esistere lo faccia senza maschere. 

Questo libro è come un grande specchio rivolto verso il suo pubblico, coglie l’universalità catturando l’immagine tragica dell’essere umano, permette di osservarsi a una certa distanza, alleggerendo il dolore…è in fin dei conti un libro magnanimo.”

Il libro.

I tabù sembrano materia vetusta, eppure esiste una provincia del sapere e delle pratiche estremamente delicata e sensibile che ne è ancora afflitta gravemente. Questa provincia è quella dell’educazione (soprattutto italiana, ma non solo) e della pedagogia. Tutta la popolazione incappa nei tabù, ma soprattuto quella fetta che tutt’oggi ne incontra necessariamente un uso istituzionalizzato, ovvero i bambini e i ragazzi. In questo libro, con piglio controeducativo, se ne propone un elenco e un tentativo di elaborazione, senza farsi mancare il sale e il pepe d’autore, già da tempo impegnato a fare il contropelo a una cultura che, ancora capitanata in buona sostanza da monsignor Della Casa e tata Lucia, appare tra le più arretrate e muffose. Qui vengono dunque passati a fil di spada i tabù che concernono il sacro materno, il sesso dei bambini, la morte, il fallimento, quel curioso costrutto micidiale definito scuola, il piacere, l’ozio e diversi altri che ancora incutono tremori nel tapino volgo pedagogico.

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