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When I’m seventeen 🎶🎶

Senza commenti di sorta proponiamo l’articolo di Elisabeth Franck-Dumas su Libération del giugno scorso che dedichiamo al compleanno del regista cercando di eludere gli incensi dei delusi della sinistra nostrana o le accidie grottesche della altrettanto nostrana destra malamente resuscitata per colpa di quella stessa sinistra.

Prendendo in prestito l’approccio dinoccolato di Nanni Moretti, di cui richiama anche gli sfoghi infantili e i broncio da alter ego del passato, da Bianca ad Aprile, Giovanni è un regista che è stato superato dal suo tempo. Ne nasce un affresco storico nella periferia di Roma, che ripercorre la procrastinazione etica di una parte del PC italiano ai tempi della rivolta di Budapest del 1956. Si immagina il dilemma morale del capo della sezione Antonio Gramsci (interpretato da Silvio Orlando) che ha invitato un circo ungherese come dimostrazione di sostegno mentre i carri armati russi arrivano per reprimere la rivolta. Giovanni insiste nei minimi dettagli del suo set, fino alle bottiglie d’acqua con il logo Rosa Luxemburg ma percepiamo che è interessato solo per metà a ciò che ha progettato, sognando invece di mettere in scena decenni di vita di coppia sullo sfondo di canzoni popolari italiane. La moglie Paola (Margherita Buy), produttrice di tutti i suoi film, lo abbandona per le riprese di una pellicola ultraviolenta di un giovane regista e finisce anche per lasciarlo e prendere un appartamento altrove. Sua figlia Emma (Valentina Romani) sta per sposare un settantenne, cosa che, dopo il primo shock, Giovanni arriva a comprendere, lasciando intendere che i giovani in fin dei conti siano davvero poco rilevanti. Gli scenari d’epoca del suo affresco, costantemente invaso da gadget del tempo, come la sala stampa di un giornale dove si vedono rotative su rotative, il circo che esegue il suo numero felliniano, il fascino retrò di una vera vita di quartiere e tutto nell’universo che ha allestito, sottolinea la malinconia e il rimpianto. Il soggetto stesso del film lascia da parte i giovanissimi della sua squadra, convinti che i comunisti in Italia non ci siano mai stati. “Il tuo film è la fine di tutto!” concludono alla fine i suoi nuovi produttori coreani. La scoperta sembra renderli felici.

“Verso un futuro radioso” traduzione franzosa del sedicesimo lungometraggio di Nanni Moretti, dal titolo evidentemente ironico, mette fine alle utopie del passato, politiche, cinematografiche, intime. Il gesto è un po’ stanco, nostalgico, a volte, non tante, divertente, soprattutto durante un esilarante confronto con Netflix, che lamenta l’assenza di un momento «what the fuck» nella sua sceneggiatura che non è mai tagliente. Giovanni, il protagonista alias di Nanni è infelice e affatto combattivo. La vita lo doppia sulla corsia di sorpasso mentre lui la concepisce solo con una serie di alzate di spalle affrante. Il suo gesto più eclatante, interrompere a lungo le riprese del film rivale, arrabbiato per la sua estetica troppo trita, non avrà alcun effetto, se non quello di farci sorridere. Vediamo anche Giovanni, strizzando l’occhio al film Diario, fare il giro di una piazza di Roma ancora e ancora su uno monopattino elettrico, di notte, con il suo produttore innamorato e strambo (Mathieu Amalric) e poi nuotare in una piscina, come in Palombella Rossa , rimpiangendo di non essere abbastanza grande da girare un adattamento del racconto di John Cheever: The Swimmer.

Tanto che il personaggio (e con lui anche Moretti?) darà l’impressione di operare in tre modalità: stop, rewind, segnare il passo. Piroetta letteralmente su se stesso, braccia spalancate come un derviscio, subito imitato dal resto della sua squadra. Dell’idea di “girare”, Giovanni sembra così aver conservato solo l’accezione del girare in tondo. Il suo cinema serve prima di tutto a cambiare il passato, come nei film di Tarantino, per fantasticare su un PC italiano che avesse denunciato per tempo le azioni dell’URSS. Nanni Moretti, con lo stesso stratagemma, permette a Giovanni di tornare sui propri passi verso il suo io giovane, compiaciuto e irremovibile, che ruttava al borghese, dopo aver visto “La dolce vita” con la sua bella, quando invece avrebbe potuto tenere tutt’altro discorso, più innamorato e meno stupido.

Come il suo sosia, Moretti a volte dà qui l’impressione di essersi lasciato scivolare sul pilota automatico, riprendendo un po’ pigramente i codici del suo cinema, il suo personaggio di spilungone che gioca a calcio e funziona solo per rituali immutabili come mangiare un gelato davanti a Lola. Un po’ troppo scontroso, un po’ troppo carino. La sfilata finale, che riunisce sotto il sole gli attori dei suoi film passati, non fa altro che volgere uno sguardo retrospettivo per stuzzicare il cuore.

Il Circo ungherese

Moretti non si fa certo ingannare da questo, e rileggeremo nell’invito al circo, nel momento in cui si scatenano le forze oscure della storia, una mise en abyme del suo stesso gesto, che può sembrare, a seconda di dove ci si trovi, magnificamente derisoria, un po’ vanitosa, o al contrario espressione di una specie di ottimismo di resistenza.

La redazione di ReseArt Agosto 2023

Tutti fotografi!

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Non c’è un'”arte” più diffusa della fotografia. Ma il più delle volte è solo un hobby. Oggi tutti scrivono (persino Fabio Volo e Littizzetto, calciatori e giornalisti, giornalai e mezzibusti), tutti sanno di calcio e sono opinionisti di tutto, prendendosi anche sul serio, tutti vanno in bici bardati come professionisti (e questo non sarebbe male se non fosse che spesso lo si fa in mezzo alle polveri sottili) tutti sono pittori, scultori, musicisti, cantanti e ballerini a tempo perso (o perduto per sempre!). Ma non ci sono mai stati tanti fotografi e videomakers che,oltretutto,si credono artisti, spesso illusi da greggi di followers neoanalfabeti! Ho diretto scuole artistiche in cui si insegnava la fotografia e il cinema, ho selezionato docenti di cinema e fotografia, sono stato nella lista degli esperti disinteressati per l’EACEA (Commissione Europea) di arti visive e creatività ed ho umilmente partecipato con qualche successo ad attività di formazione e a kermesses video-fotografiche. Sarei in grado di distinguere un po’ il grano dal loglio perché ho studiato e conosco la prospettiva, le tecniche di rappresentazione, la composizione, l’impaginazione, la scelta delle inquadrature, la teoria delle ombre e delle luci… Proprio di recente, in uno scambio interessante sui social, qualcuno sosteneva pervicacemente che l’arte fotografica (come altre) non dipende dalla scuola, dall’opinione dei critici o dall’essere educati, esperti o istruiti ma da un quid che, a dire la verità, non ha ben saputo definire. Uno spirito? Un folletto? Uno gnomo? Un’illuminazione mistica? Come dice il detto: tutti fotografi, nessun fotografo! Il vero artista, dopo aver fatto uno scatto o una ripresa, resa unica rigorosamente con una stampa o un prototipo digitale indelebili firmati e numerati, dovrebbe saper motivare poeticamente (nel senso del poiein) il suo gesto anche con ragioni biografiche, ideali e culturali, con le emozioni, con la saggezza della tecnica e dell’arte applicata di cui dovrebbe conoscere tutti i segreti sapendoli comunicare e trasmettere. Andate invece sui coacervi di Facebook, Instagram, Flickr, National Geografic. Troverete di tutto e di più ma non una traccia di arte. Solo bricolage e hobby vacanziero o domenicale! E qualcuno ha anche il coraggio di tirare in ballo gli impressionisti che c’entrano (eccome!) ma avevano ben altra solida formazione figurativa.Non basta aver avuto un negozio di fotografo o avere una passioncella dilettantesca per sentirsi o farsi dire da altrettanti dilettanti un artista. Perché l’arte, scusate se mi ripeto per l’ennesima volta credo sia in queste parole:

“Ricordo sinteticamente e condivido in proposito da Maurizio Ferraris filosofo di estetica sul termine  “ARTE”:
Condizioni necessarie (ma non sufficienti) per definire, anche oggi, nell’era del web e dei media, un’opera d’arte:
Oggetto fisico che abbia a che fare con il sapere, la tecnica e  l’aisthesis (i sensi).
Che sia oggetto sociale. Non ci può essere arte per un solo uomo al mondo o per pochi eletti.
Che provochi solo accidentalmente conoscenza.La funzione prioritaria non è la conoscenza.
Che provochi sentimenti ed emozioni, eventualmente anche di ripulsa. Le emozioni sono fondamentali per la ragione.
Che sia una cosa che finge di essere persona.
Giudicare un’opera d’arte infatti deve essere come giudicare una persona.
Solo di alcune cose si dice che siano opere d’arte. Queste condizioni sono le premesse indispensabili affinché ciò si avveri.
La storia è una delle premesse fondamentali, come la cultura di chi produce opere d’arte, la sua preparazione certa, il suo fondamentale disinteresse economico.” Un punto di vista. Il dibattito è aperto!

Vale anche per la fotografia e il cinema.

Giuseppe Campagnoli. Scritto nel 2016 e aggiornato in Maggio 2021

SAPRESTE DIRE QUALE DI QUESTE FOTO SIA ARTE?

Educazione,scuola,cultura,diffuse.Purchè di qualità.

Prima di andare in vacanza anche se c’è chi dice che da dieci anni lo sia perennemente, vorrei fare una serie di riflessioni a mo’ di aforismi sulle ultime note di ReseArt.

Abbiamo avuto l’immenso piacere di vedere crescere l’idea della Città educante nata con il nostro (Paolo Mottana & Giuseppe Campagnoli) Manifesto dell’educazione diffusa pubblicato dall’editore Asterios di Trieste proprio in questo scorcio di anno. La crescita, supportata da numerosi eventi di presentazione del libro, seminari, convegni e piccole letture bibliotecarie, ha avuto qualche piccolo nemico ed ostacolo che sulla via della costruzione di nuovi modi e luoghi dell’educazione  sono stati poco più che dei sassolini.

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A  Settembre riprenderà più vigoroso il cammino con la preparazione di esperimenti in diverse città e quartieri e con nuovi confronti di idee, anche contrapposte , con chi non si sia arroccato sulle sue conformiste o paraistituzionali verità. Facendo repertorio di buone pratiche e buone idee la piccola rivoluzione dell’educazione e delle sue architetture avrà tanto slancio da diventare grande e veramente diffusa!

APPUNTI PER IL DISEGNO DELLA CITTA’EDUCANTE

La nostra idea di #scuolasenzamura fondata sulla controeducazione tende progressivamente a fare a meno di edifici e reclusori scolastici dedicati, tende a fare a meno dell’edilizia scolastica in favore della città educante che fa dei suoi luoghi collettivi ed aperti, pubblici e privati che siano, degli spazi per educare, insegnare, apprendere. Il mercato vorrebbe costruire altre scuole e investire in cemento, mattoni, legno…tutto più o meno eco. Numerose joint venture tra pedagogisti, architetti e produttori di arredi scolastici sono omogenee a questa visione liberista e fanno di tutto per teorizzare “spazi che insegnano”, “ambienti di apprendimento” aperti ma sempre delimitati e architetture pedagogiche, sostenendo a spada tratta che si debbano progettare e costruire ancora edifici scolastici. Fanno di tutto per trasformare aule in non meglio identificati spazi di apprendimento che non sono altro che un imbellettamento dei vecchi ambiti con arredi new age e tecno, con spostamenti di banchi e sedie, piccoli soggiorni pedagogici, cucinini studenteschi e cromatismo a gogo. La “scuola diffusa” non sono tanti edifici diffusi per il territorio, non sono un insieme di aule moderniste ma pur sempre aule. La scuola e l’educazione diffusa non sono i kit dell’IKEA che dopo le casette fai da te, agli uffici fai da te, pensa anche alle scuole fai da te. La scuola diffusa fa parte di una idea realmente rivoluzionaria dell’educazione e dei suoi luoghi, un’idea che non può che contestare e criticare decisamente chi invece vuole agire ancora come ai tempi di Papini.  Tranquilli: gli architetti avranno ancora da fare, forse di più e meglio, agendo nel disegno della città, individuando ed esaltando virtù educative in tanti spazi e manufatti urbani, trasformandoli e arricchendoli. E anche gli educatori avranno da fare, forse molto, molto di più. 

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Abbiamo anche parlato di lavoro, di religione, di guerre e di terrorismo, di tutte le arti belle e brutte dell’uomo, del bricolage artistico che spaccia dei semianalfabeti dell’estetica per artisti sopraffini ai fini del solito mercato. Abbiamo parlato dei tutti fotografi, tutti pittori, tutti scrittori e tutti cantanti, e anche ahinoi tutti calciatori e mezzibusti.Un popolo di italici velleitari. Abbiamo fatto rifatto le pulci alle kermesse paraculturali che imperversano per l’Italia con i soliti raccomandati, con le associazioni no profit che di no profit hanno appena il nome e riescono chissà come per anni ad avere sempre le ricche sponsorizzazioni pubbliche e dei privati che con il pubblico hanno molto a che fare. Abbiamo stigmatizzato le false promesse dei governanti pro tempore e le false illusioni degli oppositori anch’essi sotto padrone che solleticano sempre la pancia della gente ma non la sua mente. Abbiamo fatto inc’zzare qualcuno ed esultare molti. Ci hanno elogiato, condiviso e anche abbracciato, ci hanno pure insultato, bannato e bandito da qualche social con la coda lunga fino al polo nord. Ma nessuno ha mai dubitato che le nostre cose ironiche e a volte sarcastiche avessero un fondo molto solido di verità. Le code di paglia non hanno preso fuoco e in quasi un lustro di attività non abbiamo conosciuto un avvocato! Buona estate 2017 a tutti! A presto!

Giuseppe Campagnoli

Giovanni Contardi

Idrione il centurione

Researtù

e tutti i  nostri validi collaboratori fluttuanti…

!5 Luglio 2017

 

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