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Tutti gli articoli di Giuseppe Campagnoli

Educazione ed architettura della città

Napoleon: l’ultima sconfitta.

Cyprien Caddeo l’Humanité

24 Novembre 2023

“Poteva essere quasi una garanzia. Affidare a un britannico il compito di realizzare il film biografico su Bonaparte era rassicurante: Ridley Scott non poteva realizzare sicuramente un’agiografia dell’imperatore francese. A 85 anni, il vecchio “Rid” affronta la montagna di Napoleone, con l’intenzione dichiarata, almeno in fase di promozione, di farla finita con il suo mito glorificato. Il generale corso (di origini toscane ndr) interpretato da Joaquin Phoenix non è certo l’eroe di un romanzo nazionale. Bambino capriccioso e pieno di arroganza, cocco di mamma, malato geloso, estraneo al valore della vita umana, goffo golpista salvato dalle armi, Napoleone è tutto questo in Scott. Come un bambino che ha fatto durare un po’ troppo il suo gioco di soldatini, spargendo le sue figurine sulla mappa di un’Europa messa a ferro e fuoco.

Viene la tentazione di riconoscere in questo Napoleone un lontano cugino di David, l’androide genocida di “Alien: Covenant”, recente opera di Ridley Scott caratterizzata dalla stessa fascinazione-repulsione per la figura del male. L’idea sarebbe affascinante se non fosse affogata in un film destinato al fallimento, soprattutto quando intende abbracciare l’intera vita dell’imperatore. Un’impresa titanica su cui lo stesso Stanley Kubrick si spezzò negli anni ’70, mentre ci vollero quasi cinque ore di pellicola per sintetizzarla, nel 1927, al francese Abel Gance. La versione trasmessa nelle sale dal 22 novembre, della durata di 2 ore e 40 minuti, non è il montaggio finale voluto da Ridley Scott, che dura più di 4 ore e uscirà successivamente, esclusivamente sulla piattaforma Apple TV+.

Un successo solo hollywoodiano

Anche la versione cinematografica dà la sgradevole sensazione di rientrare nelle aspettative napoleoniche. In pochi minuti le campagne d’Egitto e di Russia sono finite, e l’esilio all’Elba è appena accennato. Ridley Scott, tuttavia, si concede alcuni sbalzi piuttosto angoscianti quando dipinge una folla rivoluzionaria e un Robespierre che muore in modo assai caricaturale in una sequenza del tutto superflua per la trama.Dopo la visione, ci chiediamo cosa intendesse davvero raccontare Ridley Scott oggi, nel 2023 con il suo “Napoleone”. Forse il regista britannico, come il suo soggetto, ha ceduto alla sua arroganza, alla prospettiva di orchestrare grandiose sparate. Il film ruota principalmente attorno a due momenti salienti, le battaglie di Austerlitz e poi di Waterloo, dove il regista dimostra di avere ancora qualcosa da insegnare.

“Napoleon” rimane un blockbuster furiosamente hollywoodiano, che costituisce l’altro suo limite, come questa insistenza sulla storia d’amore tossica con Joséphine de Beauharnais. La loro storia d’amore è descritta come la quasi unica forza trainante della sua azione, la materializzazione delle sue manie di grandezza. Napoleone quindi non è mai veramente razionale, mai politico. Non governa, è solo il desiderio di conquistare, guidato dalla fede nel proprio destino. Troppo hollywoodiano per i suoi detrattori e troppo mostruoso per i suoi elogiatori, il Bonaparte di Scott fluttua tra i ricordi. La versione lunga forse correggerà la situazione. Nel frattempo, Ridley Scott si unisce al grande esercito di coloro che non sono riusciti a conquistare Napoleone.”

ReseArt 2023

Le religioni abramitiche. Fondamenti di iniquità?

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Nella eterna diatriba su che cosa sia di sinistra o di destra, liberista o liberale o meglio ancora fondato su libertà di pensiero ed equità sociale proviamo a declinare e classificare in termini di equità e giustizia i precetti delle tre religioni che oggi dominano su molte idee e anche. ahimè, su molti fatti della vita quotidiana, della storia e della politica. I testi sono riportati in ordine cronologico: la Bibbia, i Vangeli, il Corano. Infine il testo della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.

Tralasciando la storia del passato e i fatti tremendi che l’hanno scandita anche per colpa di tutte le religioni, oggi che senso hanno questi precetti ad eccezione del non uccidere, del non perseguitare, del garantire libertà e pari ricchezza e dignità a tutti? Penso che tutto ciò che confligge con la dichiarazione dei diritti dell’uomo, coniugata con una rigorosa società di eguali, sia da mettere subito e senza indugi fuori legge. Continua la lettura di Le religioni abramitiche. Fondamenti di iniquità?

Fascismo, neofascismo e postfascismo.

Non lasciamoci fregare. Il postfascismo può essere decisamente peggio del fascismo. Si aggiorna in senso deteriore dissimulando una ideologia antidemocratica e antipopolare più subdola e gregaria del liberismo nazional popolare.

Il premier italiano Giorgia Meloni è “neo” o “post”-fascista? Dovremmo andare verso una società “de-globalizzata”? Esistono le “neo-femministe”? Se le parole non sono neutre, questi piccoli strumenti sintattici che sono i prefissi, che occupano un posto dominante nella creazione del lessico della lingua, non derogano alla regola. “Due terzi dei neologismi oggi si formano sulla base di prefissi, spiega Christophe Gérard, linguista dell’Università di Strasburgo. Un predominio netto che probabilmente spiega perché i politici vi ricorrono in maniera massiccia. La pronuncia di un termine può investirlo di una carica politica che prevale sulla sua originaria neutralità; il dibattito semantico sulla vittoria della Meloni alle legislative del 26 settembre lo illustra bene. Non ha mancato di irritare, come la giornalista conservatrice Gabrielle Cluzel che su Twitter ha scherzato: “Neofascista, postfascista… possiamo inventarne molti altri: parafascista, perifascista, subfascista, criptofascista…”. La maggior parte dei media e dei politici ha optato per l’etichetta di “post-fascista”, riconoscendone le radici ed evitando la trappola dell’anacronismo. ““Néo” evoca semplicemente una ripresa nel presente, mentre “post” induce un aggiornamento per distanza, un sorpasso che permette di disinnescare ogni critica, analizza Bruno Cautrès, ricercatore del Centro Ricerche Politiche di Sciences-Po (Cevipof) e specialista in comportamento politico. La vicinanza ideologica viene così preservata, pur segnando un taglio netto con il passato. Se il “postfascismo” ha dato luogo a divergenze concettuali e ideologiche, gli specialisti concordano sull’idea di un riconoscimento dell’eredità fascista, ma senza la volontà di rompere con le istituzioni democratiche – insomma, una moderazione dell’autoritarismo per aprire un dialogo con le forze della destra e integrarsi nel gioco politico.“Orientamento politico consistente nel superare parzialmente o totalmente un passato fascista o neofascista senza tuttavia rinnegarlo”, così definisce il dizionario italiano Garzanti.Questa idea di superamento, di rottura con il passato, non è priva di problemi per il filosofo Michaël Foessel , per i quali gli echi tra ieri e oggi sono troppo inquietanti per considerare che viviamo per sempre dopo il fascismo. “Il “post” implica una novità che inscrive il presente in un’esplicita negazione del passato”, ha ricordato sulle pagine di Liberazione. È curioso evocarlo per caratterizzare un partito che non si è nemmeno preso la briga di modificare lo striscione che gli fa da logo e che tutti sanno essere il segno storico dell’adesione al Duce di coloro che, naturalmente, vennero dopo il regime fascista, ma nella speranza di ripristinarne i principi.

Da non sottovalutare, in questo quadro, c’è la tolleranza o quanto meno l’assenza colpevole di certa sinistra liberaleggiante che forse fa già parte di quell’altra faccia del postfascismo rimeditato negli effetti che non è certo nostalgia ma sicuramente terribile attualità neoliberista come ben scrive Paolo Mottana:

Due righe sul fascismo: oggi, come è evidente, la parola fascismo, ben oltre le sue origine storiche, individua una lista di comportamenti che, genericamente ma correttamente, definiamo fascisti: autoritarismo, violenza verbale e fisica, imposizione, giudizi sommari, crudeltà gratuita, condanne per le idee ecc. ecc. Quindi oggi vorrei celebrare non solo la Liberazione con la L maiuscola, quella che conosciamo perché ci è stata tramandata dai nostri vecchi e che ci parla di libertà da sofferenze inaudite ma anche una liberazione minore, da tutti i fascismi che infettano il mondo: quelli che ci imprigionano in rapporti violenti, quelli del lavoro dove capi e capetti si permettono di insultare e vessare gratuitamente perché hanno uno straccio di potere, dove siamo giudicati in base a invidie e ritorsioni, quelli del tempo che ci viene rubato o castrato, quelli delle deportazioni (quella scolastica o lavorativa per esempio), quando accettiamo di subire ogni tipo di potere sulla nostra vita senza ribellarci, o ribellandoci e venendo immediatamente schiacciati da sanzioni di ogni genere, di quelli che ci indicano cosa fare, come impiegare il nostro tempo residuo e non ci rendiamo più conto che non sappiamo più fare una scelta autonoma perché tutte le nostre scelte sono già predecise altrove (sulle vacanze, sul tempo libero, persino sul riposo e sul fare l’amore), quelli della coppia talvolta, della famiglia troppo spesso, delle code in auto, degli ammassamenti sulle metropolitane, dei centri commerciali, delle spiagge in batteria come polli a cuocere alla griglia, dei programmi televisivi a senso unico, di tutti i fanatismi, buoni o cattivi, religiosi o laici.Vorrei celebrare la liberazione dai fascismi che fanno della nostra vita una vita da schiavi, da sottomessi, laddove spesso siamo noi stessi a non saper leggere il fascismo interno che noi stessi ci rifiliamo pur di non vivere l’ebbrezza spaesante di una vera liberazione.

Fascismo e fascismi dunque, a braccetto insieme e assai più pericolosi e criminali se ben propagandati da una avanzante occupazione culturale multiforme, subdola, a volte sfacciatamente palese e, a volte, anche pericolosamente subliminale.

Giuseppe Campagnoli Novembre 2023

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