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Tutti gli articoli di Educazione diffusa

Educazione ed architettura della città

Un portale per l’educazione diffusa

L’educazione diffusa è un vero manifesto politico che prefigura un mondo radicalmente diverso. L’educazione è alla base di tutte le idee.

Finalmente si avvia il progetto di una “base” web, un’ unica piazza virtuale e reale, da cui partire per comunicare più efficacemente, condividere, raccogliere idee ed esperienze, allo scopo di costruire passo dopo passo un sistema dell’educazione diffusa e superare tante incomprensioni in buona o mala fede sull’essenza della nostra idea e del nostro progetto.

Come ribadisce Paolo Mottana: ” Introdurre l’educazione diffusa nella società, come già molte volte sottolineato, non significa semplicemente portare i ragazzi e i bambini fuori dalla scuola a fare esperienze necessarie alla loro formazione. Significa prendere il mondo come oggi si presenta in tutte le società occidentali e occidentalizzate e rovesciarlo da capo a fondo.
Quello che noi ci proponiamo è che la presenza rinnovata di una parte assai cospicua della popolazione fino ad oggi relegata dentro gli istituti di soffocamento e educastrazione che chiamiamo scuole e che -come ci han ben spiegato Althusser, Foucault e Goodman (tra altri) sono sistemi di soggiogamento e addestramento all’accettazione dei sistemi di potere, in virtù del trattamento dei corpi e delle menti che in essi si praticano-, cambi radicalmente il nostro modo di vivere.
I bambini e i ragazzi che rientrano nella vita sociale, a partecipare, a contribuire, a offrire il loro punto di vista e a imparare, debbono costringere tutta la compagine sociale a interrogarsi su come offrire a questi suoi figli occasioni vitali di presenza piena, di condivisione, di vita intensa insieme a tutti gli altri. Le vie esperienziali che Giuseppe Campagnoli ed io abbiamo suggerito, e cioè servizio sociale, lavoro, cultura simbolica, indagine, corporeità, natura fan sì che bambini e ragazzi entrino nel vivo della società e non siano semplici spettatori.
Ciò significa che il loro sguardo e la loro sensibilità, da sempre più acuti e ancora non intaccati dal ricatto del denaro e del lavoro salariato, non possano non influire sull’andamento della vita generale.
La loro presenza influirà sulla forma delle città, della viabilità, dell’architettura, costringendo a pensare territori che siano in grado di ospitarli non per fare improbabili città dei bambini ma città a misura di tutta la popolazione nella sua integrità e differenziazione.

E ancora:

“Però l’educazione diffusa non è mandare studenti a fare scuola in città (FARE SCUOLA!!!), è totalmente altro ed è scritto nero su bianco nei nostri libri, sorretti da una filosofia politica forgiata in lunghi anni di esperienza e di studio di cui sono testimonianza molti altri volumi e conferenze e battaglie, sulla controeducazione, la gaia educazione e l’antipedagogia. So che questo non piace, mica mi illudo, sono anni che non vengo invitato a uno convegno dalle beghine dei miei colleghi di pedagogia né da quasi nessun altro. Per carità una fortuna perché quei convegni sono la peggior perdita di tempo che a uno possa capitare. Però questo è il segno. Siamo sulla strada giusta. Quando così tanti culi di piombo nel mondo ci ostacolano e ci ignorano vuol dire che noi voliamo alto. E prima o poi qualcuno se ne accorgerà.

“Per connettere e condividere esperienze come ad esempio quelle della Scuola Elfica di Cagliari o dell’Officina del fare e del Sapere di Gubbio e tante altre note ed ignote ispirate all’educazione diffusa occorrerebbe a mio parere costruire finalmente una rete, un portale libero, autonomo, aperto e pubblico, per non disperdersi, agire insieme, diffondere e formarsi per avviarsi sul serio sulla strada della costruzione di un vero sistema dell’educazione diffusa capace di contribuire anche a cambiare radicalmente la realtà.

Durante i nostri incontri di formazione siamo venuti a conoscenza di tante esperienze fuori dal coro, spesso timide e parziali ma da ritenere comunque decisamente affini quando non esplicitamente ispirate all’educazione diffusa. Far conoscere e diffondere quanto più possibile queste esperienze, sparse per l’Italia e a volte nascoste, anche per farle dialogare tra loro è di vitale importanza al fine di sensibilizzare le persone e i gruppi verso un’idea sicuramente più libera ed efficace di educazione, anche allo scopo di organizzare, dopo i tanti incontri in giro per l’Italia, nuovi eventi ricchi di testimonianze e racconti, approfittando anche dell’imminente uscita del volume di Paolo Mottana “Il Sistema dell’educazione diffusa” Tutte le iniziative in campo rappresentano in qualche modo le eccezionali avanguardie di un progetto che varrebbe la pena mettere in rete ed estendere per quanto possibile in forma sperimentale nella cosiddetta scuola pubblica, utilizzando anche le strade offerte dalle norme poco e malamente utilizzate sull’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole nella loro attuale configurazione sistemica.

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A partire dal testo del Manifesto del 2017 e dai successivi aggiornamenti in libri, articoli e saggi, si possono infatti aggregare persone, insegnanti, amministratori, associazioni, interessati o in qualche modo già operanti in linea con l’idea di educazione diffusa. Il portale oltre a censire in qualche modo le esperienze, offrire strumenti documentali e bibliografici, attivare iniziative di formazione, può costituire un eccezionale strumento di condivisione e comunicazione collegato anche alle pagine o ai gruppi social già attivi da tempo. La proposta di una rete ed un portale oltre che l’ipotesi di una qualche forma associativa tesa anche ad agevolare burocraticamente le iniziative di formazione, era stata ventilata nell’incontro intitolato “Facciamo il Punto” del maggio 2022 e ripreso durante il seminario a Rimini del settembre scorso. Ora credo sia venuto il momento di individuare un piccolo gruppo di studio per discutere della necessità di pensare ad un portale e alla costituzione della rete. Si accettano interventi, proposte e contributi come commento a questo appello oppure intervenendo sui social già attivi (o scrivendo a researt49@gmail.com) per arrivare al più presto ad un incontro ristretto che attivi una discussione sul tema.

In tempo reale aggiungo solo una chiosa dedicata a chi avesse ancora perplessità o riserve sull’idea dell’educazione e sulla sua efficacia anche per contribuire a cambiare radicalmente la realtà a partire dal rendere protagoniste nella vita le attuali e prossime giovani generazioni. Nel concetto di educazione diffusa non ci sarebbe già un’idea rivoluzionaria del mondo? Non emerge in modo chiaro quali mondi nuovi, Il manifesto dell’educazione diffusa già prefigurava a suo tempo? Quante volte questa idea è stata da noi spiegata e ripresa fino ad oggi?

Cito solo due esempi a caso tra le decine di pubblicazioni tra libri, saggi, articoli sull’argomento.

Da Comune-info. Almanacco di una scuola immobile. Giuseppe Campagnoli 7 febbraio 2020

Tutti d’accordo che la scuola vada cambiata, pochi convinti che debba essere rifondata dalle basi del concetto di educazione magari anche dal di dentro e con coraggio. Il gotha presunto della scuola continua da tempo a pontificare senza offrire una via reale di cambiamento alla radice dei mali. Io soliti nomi e cognomi che si rincorrono nei media e nella letteratura del settore che blatera di scuola elogiando spesso ricette autoreferenti e pannicelli caldi sparsi qua e là nell’empireo delle sperimentazioni miracolose e miracoliste che hanno sempre gattopardescamente lasciato in sostanza le cose come sono sempre state. Si parla ancora di materie, di saperi distinti, di tecnologie, di insegnanti mal pagati e mal preparati, di reclusori scolastici da rifare più belli e moderni, di scuola e lavoro, di scuola e politica, di scuola e azienda, di bullismo, burnout, burocrazia, valutazione, classificazione, democrazia, discente, docente, dirigente…Pochissime le eco che rimandano a qualcosa di più e di oltre. Pochissimo il coraggio di osare anche con il rischio di essere chiamati visionari o sovversivi, come lo erano, d’altra parte Freinet, Illich, Fourier, Ward, Freire… che non sono proprio diventati riferimenti di pedagogie alla moda declinate in troppi modi e in troppe versioni spesso contrastanti tra loro. Non sarebbe il caso di pensare finalmente a un bel repertorio di buone idee e di buone pratiche? A un virtuoso ibrido di belle esperienze che ricostruiscano ex novo una scuola completamente diversa, completamente autonoma dal mondo economico attuale e magari diffusa in ogni ambito della vita e della natura? Ogni sapiente, come spesso accade, deve dire la sua da un parziale, spesso scontato, punto di vista senza apportare nulla di nuovo e significativo nell’antologia delle prediche sulla scuola a cui ormai siamo terribilmente abituati da tanti decenni, forse fin dalla nascita della scuola pubblica. Una delusione cocente e crescente, soprattutto se penso a ciò che faticosamente si sta muovendo al di fuori di questo dorato recinto della solita speculazione educativo-didattica-didascalico-formativa e parapsicosociopedagogica e che spesso è sconosciuto, misconosciuto, boicottato, minimizzato, quando non ostacolato e ghettizzato. Tutto questo ci dice che occorre più che mai osare ed oltrepassare la scuola lasciando da parte i soloni e i mediatici che parlano di tutto e di niente senza offrire nessuna idea veramente rivoluzionaria e globalmente praticabile anche da subito, sicuramente con meno risorse inutili e sprechi diffusi e con più gratificazione per tutti, insegnanti compresi, che per primi rinascerebbero a un nuovo ruolo sicuramente più remunerato e più riconosciuto oltre che appassionante. C’è chi ci sta credendo molto e si sta dando da fare, anche da dentro il sistema. Se siete masochisti e volete versare lacrime amare sul futuro dei nostri giovani e sulla capacità delle genti di leggere e capire la realtà leggete questa mirabile antologia di detti e contraddetti, di pontefici del sapere e del non volere, di mirabili saggi onnipresenti sulla scena abusata degli affabulatori di scuola. Magari vi verrà un sussulto di orgoglio e di disgusto insieme che spinga verso un reale superamento di tutto ciò che rende la scuola a volte vecchia, a volte inutile, a volte pericolosa, a volte perfino grottescamente paradossale.”

Da Comune-info. L’educazione è alla base di tutte le idee Giuseppe Campagnoli 26 Maggio 2022

Attraverso l’educazione è possibile costruire o ricostruire l’idea della pace (e della guerra) come della salute, dell’economia, della città, della natura, della politica, della proprietà, della vita in generale. Ma la condizione fondamentale è che l’educazione avvenga principalmente attraverso l’esperienza e la vita stessa con una serie infinita di quello che in tanti chiamano lo choc educativo che avviene durante le tante esperienze e le osservazioni, le ricerche, le incidentalità, gli studi e le restituzioni e condivisioni in corpore vivi e che si esplicano attraverso un’intelligenza unica, multiforme e multisenso. Il tutto nelle varie scene dell’apprendimento che vanno dal corpo alla natura, all’immaginazione  all’arte, alle storie tratte dalla realtà e dalla fantasia, dalla scienza che cerca e ricerca senza fine e senza dogmi, dalla lingua che è pensiero e delle relazioni umane che non sono separate fra di loro ma rappresentano una interconnessione continua di contatti molteplici e multiformi.  Istruzione, addestramento, formazione sono invece le sovrastrutture parziali e strumentali dell’educazione che non può essere per sua natura codificata e cristallizzata in procedure, programmi, valutazioni competenze e conoscenze determinate dai vari poteri dominanti più o meno sulla base di consensi discutibili quando non indotti o obbligati palesemente o subliminalmente. Conoscere, sapere e saper usare liberamente la realtà e le storie, la creatività e l’immaginario in una accezione collettiva e cooperativa possono mitigare e orientare in senso positivo gli stimoli naturali ai conflitti e all’aggressività se il cosiddetto “mutuo appoggio” fondamentale in natura (cfr. Kropotkin) lo diventasse anche per l’animale della specie umana. L’educazione può, nel tempo salvare il mondo, purché sia libera, diffusa e integrata nei diversi momenti e luoghi della vita, quasi istintiva, sicuramente incidentale.

“Chissà che non si riuscisse a distinguere un briciolo di realtà dalle mille verità costruite, contrapposte come strumenti di potere e di controllo economico, politico e sociale. Chissà che lentamente le persone non si rendano conto che le loro convinzioni, a volte anche quelle apparentemente trasgressive o controcorrente, non siano invece indotte dall’ignoranza costruita su mille verità manipolate, sulle bulimie mediatiche e transmediatiche di social, giornali, tv, a senso unico (il mercato che li gestisce) dai pontificatori, frullatori di pensieri e di idee, sublimi confezionatori di brodi di notizie-fiction, filosofi, scrittori, reporter pro domo sua e mezzi busti d’assalto? Verità e dogmi di tutte le risme sono passati e si sono sedimentati per generazioni e vi passano ancora, attraverso la cosiddetta “istruzione”, pubblica o privata che sia, con i loro strumenti di controllo, classificazione, selezione e infine reclutamento tra le fila di chi ha o avrà potere sulla comunità e di chi obbedirà senza problemi alle leggi, alle notizie, ai racconti, alle favole terribili o seducenti costruite proprio ad usum delphini. Probabilmente con una educazione profondamente e radicalmente diversa il pensiero critico e creativo sarebbe prevalente e porterebbe se non altro a osservare la realtà senza schermi e schemi prefigurati e a farsi più domande ed esprimere dubbi più che certezze indotte e “guidate”. Ci vorrà qualche decennio ma ne varrà senz’altro la pena se si arriverà in tempo.”

Giuseppe Campagnoli 30 Marzo 2023

De senectute 2023

De Senectute 2023. Dialogo tra vecchi.

Claudio Segattini. Architetto in pensione.

“A distanza di 10 anni da quando, in occasione dei miei 70 anni      ho riflettuto sulla  vecchiaia,  sulla condizione degli anziani, devo constatare che non è cambiato niente  da allora. Siamo ancora circa il 25% del totale della popolazione nazionale, ossia la bellezza di 15.000.000 di giovani virgulti ma nessuna delle altre categorie sociali si da da fare per valorizzare ed utilizzare tale massa di persone, comprese paradossalmente anche quella dei politici, sempre a caccia di voti, ma in tal caso ciechi nel non comprendere il potenziale costituito dagli anziani.  In parte sono pure gli stessi vecchi spesso sembrano fregarsene del fatto innegabile che hanno accumulato un’ esperienza significativa ed anche una saggezza invidiabile: una peculiarità non comune a tutti, sia chiaro, ma sicuramente a moltissimi di loro.  Spesso ci si ricorda di loro solo per accudire i nipoti, fare la spesa, pagare le bollette, aiutare economicamente, disperdendo però un capitale umano impressionante. E’ ovvio che esistono (o persistono?) anche persone anziane che hanno ancora un gran peso nella società attuale (professionisti, imprenditori, politici, docenti, artisti) ma percentualmente pochissimi, una specie di oligarchia, spesso meritocratica, che mi pare non ponga particolare attenzione agli “altri vecchi”, se non in termini di mero utilizzo contingente. Resta il fatto che l’assenza di gran parte dei soggetti over 65 , paragonabile ad un esercito muto, non creerebbe un grande scompiglio nei confronti della società di cui “stranamente” fanno ancora parte.

Ma c’è una contraddizione evidente ed un paradosso in un settore in cui la presenza di tali attempati soggetti si rivela assolutamente essenziale in quanto alimenta in modo determinante il mondo delle cure mediche, del mantenimento della salute, ossia di quell’enorme apparato che si impegna costantemente ad allungare all’infinito la vita degli anziani con un mercato colossale, supportato dalla convinzione, culturalmente imperante,  che sia giusto allontanare la morte all’infinito e che occorra preservare l’esercito di consumatori per sé e per coloro che mantengono e supportano in virtù delle disuguaglianze sempre più gravi e diffuse. Da un lato quindi c’è da rilevare come un numero enorme di cittadini è come se non esistesse, per cui non contano niente, dall’altro invece si fa di tutto per perpetuare la loro esistenza, per cui contano eccome!Tale plateale contraddizione acquista invece una logica indiscutibile se si pensa cinicamente alla categoria dei vecchi unicamente come sostenitori materiali dei propri figli-nipoti, delle aziende farmaceutiche e dello Stato mediante le tasse ricavate dalle pensioni che insieme ai dipendenti costituiscono la massima fonte di introiti per lo Stato.

C’è ancora un altro aspetto sostanziale che caratterizza i vecchi, sino ad ora non menzionato strumentalmente, ossia che tali soggetti sono contemporaneamente fruitori di azioni affettive ed erogatori di affetti, il che potrebbe immediatamente riqualificarne l’identità, il ruolo, ma c’è da domandarsi in tutta onestà se tali caratteristiche siano veramente sostanziali per modificare l’opinione imperante su tali esseri umani. A questo punto mi viene spontaneo domandarmi come tutto ciò abbia potuto avvenire. Penso che uno dei motivi possa farsi risalire al fatto che molti anziani fruiscono di una pensione, che li rende, (non sempre e non abbastanza a dire il vero) economicamente autosufficienti, per cui: perché preoccuparsi per loro? Classico atteggiamento derivante dal fatto che tutto si riduce a considerazioni di tipo economico. Un altro motivo può essere determinato dal fatto che le continue modificazioni comportamentali che caratterizzano i rapporti fra le persone, a causa dei continui sviluppi tecnologici, hanno avuto come conseguenza che molti anziani non riescono a tenere il passo con tali continue novità, comprese quelle del linguaggio, diventando inadeguati ai tempi in essere, per cui vengono inevitabilmente considerati “out”, esclusi dalla stessa società in cui però “singolarmente” continuano a far parte.

Ho potuto constatare personalmente che molti di tali individui hanno accettato serenamente di non contare più di tanto, poiché si sentonofinalmente deresponsabilizzati dal fatto di darsi da fare socialmente e di dovere trasmettere le proprie competenze culturali. Insomma, dal momento che hanno raggiunto la pace dei sensi, la pace dovuta all’essere fuori dalla mischia, dalla competizione quotidiana, dalla confusione del mondo, non possono che considerarsi dei privilegiati. Per cui perché ci si dovrebbe preoccupare della loro condizione? Tutto ciò penso che derivi da una concezione imperante nell’attuale società, ossia che la valutazione del prossimo si basi unicamente, compresi evidentemente i vecchi, sulle loro caratteristiche materiali, per cui se costoro su tale piano non manifestano problemi, perché cercare con loro dei rapporti stimolanti, vivacizzanti, perché pensare che ascoltandoli, implicandoli, attivare un confronto con loro possa derivarne un beneficio per entrambe le categorie sociali implicate?

O ancora, poiché i “non vecchi “ devono già affrontare quotidianamente un sacco di problemi, che motivo hanno di occuparsi dei “non problemi” dei vecchi? Oltretutto se anche costoro non esternano rivendicazioni di sorta, perché non perpetuare il più possibile questa particolare pace sociale che si manifesta regolarmente? In definitiva, dal momento che costoro non protestano, non esprimono il proprio punto di vista, spesso neanche votano, praticamente è come se non esistessero, perché intrattenere rapporti con loro, occuparci della loro condizione? Semplice, perché ripeto, ma spero che mi scusiate, tale realtà, tale pace si traduce paradossalmente in uno spreco di risorse umane drammatico che mi intristisce molto.

Tale dispiacere, a ben vedere, mi pare che si possa tranquillamente provare anche per il resto della popolazione , che non mi pare particolarmente impegnata nel porre attenzione alle prerogative significative, positive del prossimo, ossia dell’imponente potenziale di cui dispone e di cui ci si potrebbe avvalere per trarre un giovamento generalizzato. Pura utopia? Certo, ma perché non ricordarci ogni tanto del suo innegabile fascino!

Tornando al dispiacere personale nei confronti del popolo degli anziani, mi sa che nasconde malamente anche quello soggettivo, costituito dal fatto che soffro della constatazione che la mia tenera età mi impedisce di dare spazio ad una energia ed ad una espressività che è ancora corposa in campo intellettivo, ma pesantemente limitata in quello corporeo.Ne deriva una frustrazione notevole, che sono convintissimo appartenga anche a moltissimi miei “colleghi” e che si traduce in un sentimento comune. Ritengo unicamente superabile, da parte nostra, se ci dessimo da fare per farla conoscere agli “altri”, non per impietosirli, ma per renderli coscienti che le nostre e le loro frustrazioni ci rendono simili, scoprire quanto siamo uguali e pertanto (mal comune mezzo guaio) in grado di aiutarci o, come minimo, di capirci meglio. 

Sento ora il bisogno di soffermarmi sugli aspetti comuni che caratterizzano gli anziani:

1° Aspetto:

               La salute. Non scopro certo niente affermando che il nostro “tutto” dipende da come si sta in salute, quanto si sia assoggettati ai malanni con cui dobbiamo spesso convivere e le implicazioni sul piano psicologico. Nei casi più gravi si può arrivare a domandarsi che senso abbia continuare a vivere, se ne vale la pena. Sono convinto  ne valga la pena specialmente se ci si rivolge alla natura più che alla farmacopea sintetica per avere più rispetto dei nostri corpi cercando di combattere le cause per cui si sta male e non gli effetti derivanti.

2° Aspetto:

               La riflessione. Spesso, quando si va in pensione, viene automatico domandarsi come è stata la nostra vita sino a quel momento e si impostano programmi ottimistici per il futuro: Desiderio di stare finalmente tranquilli, di dedicarsi a nuovi interessi, di approfondire quelli già sperimentati, fare viaggi, seguire le novità, coltivare gli affetti, approfondire la propria cultura, la politica, la spiritualità, un vero paradiso. Ma poi, con lo scorrere degli anni e con la mutazione inevitabile della propria condizione e di quella del mondo, ci si rende conto di tutti quei limiti a cui siamo assoggettati. Allora, per evitare la depressione si può scoprire o riscoprire che disponiamo di una amica formidabile, ossia la riflessione, che può aiutarci molto bene a fare il punto della situazione, a fare chiarezza, a diventare un caro e disponibile supporto ogni volta  che avremo bisogno di lei, per aiutarci a recuperare una forma decente di equilibrio, indispensabile per dare ancora un senso alla nostra esistenza.

3° Aspetto:

               La morte. E’ il classico aspetto della vecchiaia con cui dobbiamo inevitabilmente fare i conti. Ho potuto constatare che per ragioni probabilmente culturali o per il semplice fatto che non si vuole perdere la vita, molti miei simili sono molto preoccupati di non poterla evitare, addirittura evitano puntualmente di affrontare l’argomento e i tacitano chi casualmente osa accennarvi. Tutto ciò perché fondamentalmente pensano che possa trattarsi di una brutta esperienza. Ci sono invece quelli come me che per fortuna o per fatalismo o addirittura poiché pensano che il fatidico momento possa rappresentare l’inizio di una appassionante avventura, non hanno nessuna paura di morire (bisogna poi vedere al momento buono!!) e che provano ad ipotizzare soggettivamente come sarà il dopo vita, non tenendo in alcuna considerazione ciò che è stato detto per secoli e con grande sicurezza, dagli imbonitori delle religioni.

Foto di Jonas Peterson

Ritengo anche che valga la pena di riconoscere che la morte rappresenti una lapalissiana manifestazione di democrazia, poiché tocca a tutti inevitabilmente, sia belli che brutti, ricchi o poveri, intelligenti e stupidi ecc. ecc. Essa è in grado di realizzare platealmente una situazione che in tutta la mia, la nostra vita, non abbiamo mai potuto vedere realizzata appieno. Siamo di fronte ad un appianamento positivo della condizione umana, che definirei un fantastico miracolo, cui guardare, in quanto tale, almeno senza paura. Tutto ciò anche alla luce del fatto che, dopo avere raggiunto una età avanzata, è ben difficile che, quando se ne sentisse ancora il bisogno, sia possibile riscattare il valore della nostra vita precedente, puntando su un exploit finale scoppiettante e totalmente appagante. Troppo spesso tale obiettivo si rivelerà del tutto velleitario. Per cui penso che per costoro possa essere più producente soffermarsi sui momenti piacevoli che la vita gli ha regalato, su quelli ancora disponibili e guardare alla prossimo cimento inevitabile con un poco di ottimismo.Siamo agli sgoccioli e in definitiva ritengo, pienamente cosciente di quali sono i vari aspetti della vecchiaia, che valga pienamente la pena di darsi ancora da fare per rendere edificante tale stagione della nostra vita.

                                                                   

Giuseppe Campagnoli. Architetto e preside in pensione.                                                        

Partecipo alla riflessione volentieri cercando di essere, come si diceva una volta, breve, succinto e compendioso. Considero da sempre le fasi della vita come improntate al detto fisico:” nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Il problema dunque sono le trasformazioni e il loro valore. Soprattutto nel nostro paese esiste il giovanilismo accanto  al perseverare diabolico di chi non vuole mollare il suo potere, grande o piccolo che sia. Una separazione che provoca solo danni. L’esercito muto di cui tu parli è generato dalla separazione imposta tra generazioni, una separazione pericolosa e dannosa.Ricordo quando, ormai 10 anni fa, partecipai ad un progetto europeo a Liegi dove con grande sorpresa mi ritrovai a studiare e fare cose artistiche insieme a coetanei di 65 anni o giù di li, giovani trentenni e quarantenni, ragazzi delle scuole e cittadini di ogni età. Ne scaturirono prodotti eccezionali frutto di differenti sensibilità ed esperienze messi in una mostra internazionale del titolo “Il n’y a pas  d’heure pour créer”

Dal film La nuit. 2012

Ogni momento e, quindi, ogni età è buona per creare. Tutta la vita dovrebbe essere così. D’accordo sul mutuo appoggio tra genitori, nonni, figli, nipoti. Ma forse è più necessaria la relazione continua disinteressata e costruttiva. L’esperienza e la saggezza (a parte le canizie vituperose manzoniane che mi pare oggi siano in gran parte collocate con il potere) con la voglia di ricerca di chi apprende per crescere non avrebbero mai dovuto essere disgiunte dalla società. Occorrerebbe sottrarsi con un moto di ribellione alle speculazioni sulla salute degli anziani e sui loro ruoli di badanti economici e non solo oppure all’essere relegati ai circoli sociali, alle bocciofile o alle università delle terze e quarte età. Occorre ributtarsi nel mondo senza remore e senza interessi di profitto anche con il rischio di apparire invadenti. Occorre tornare alle città e a tutti i suoi luoghi vivi mescolandosi con tutti gli altri. Questo significherebbe tornare a vivere concretamente e finire di piangersi addosso. Una virtuosa invasione. I farmaci e i rimedi naturali lo stretto necessario, come per tutti del resto. I vecchi sono in uno di quei passaggi del “tutto si trasforma”. Molte cose del corpo cambiano forma. Occorre  capire e assecondare, magari integrando le defaillances con altre fasi di trasformazione più giovani che di fatto servono anche a questo: a compensare le energie dei più agés. L’aspetto economico invece (le pensioni che sopperiscono a disoccupazioni o sottooccupazioni) sono un malaffare di questo sistema mercantile, ancora classista  ed iniquo che spinge a prendere sempre ed ancora da chi avrebbe già dato abbondantemente e comunque dai più poveri che si tende a far restare tali. La tecnologia in tutto questo è uno strumento che non andrebbe esaltato ma  reso semplice per tutti  e sfruttato in modo democratico. Dovrebbe essere solo uno strumento che tale dovrebbe essere considerato e restare tale in modo da non provocare pericolose dipendenze tra i giovani e inadeguatezze incomprensibili tra le generazioni più grandi.

Foto di Jonas Peterson

Sulle costanti che caratterizzano gli (noi) anziani solo brevi chiose: La salute ahimè spesso è uno scotto da pagare per il vissuto precedente. Ne vanno minimizzati gli effetti o in modo naturale  o artificiale finché funziona e c’è ancora voglia di mischiarsi nella vita. D’altra parte anche la solitudine può avere i suoi pregi. Il dolore no. E allora si può decidere di trasformarsi ancora.

Riflettere su tutto e su tutti, ma soprattutto su sé stessi è un buon esercizio vitale. La morte la considero ancora una delle trasformazioni, forse nemmeno l’ultima. Ha il pregio, come diceva Totò, di rendere tutti uguali?

A mio avviso l’essere uguali dipende dalla sommatoria del prima e del dopo. La memoria presso gli altri, dopo la  trasformazione, che a mio avviso erroneamente  (anche per via di certe scarsissime conoscenze scientifiche della nostra essenza più profonda) forse consideriamo l’ultima,  fa la differenza e di fatto non  livella. L’oblio invece livella malamente. Tutto l’armamentario che ci siamo inventati intorno a questa trasformazione, dalle religioni, ai riti, agli usi e costumi, agli arredi fissi e mobili (!) contribuiscono a farne un passaggio da temere. Le sovrastrutture spesso diventano perniciosamente strutture. Credo sia anche così. Amèn

Un piccolo ma non secondario post scriptum per dire di pensare al futuro capendo finalmente che, per quando la maggior parte di noi trapasserà, bisognerà aver già pensato che non saranno le filiazioni dei giovani di oggi e di domani a sostituirci per il lavoro, la cultura e tutto il resto. Infatti la cosa comporterebbe un lasso di tempo di decenni, e saranno i tanto bistrattati migranti a colmare il gap demografico come del resto è sempre avvenuto nei paesi nascenti o morenti.

Gli Elfi di Cagliari tra le avanguardie dell’educazione diffusa

Nell’articolo, l’ultimo in ordine di tempo con una trattazione completa, che raccontava ai cugini francesi, sulla rivista Le Télémaque, l’esperienza italiana dell’educazione diffusa e della città educante, incolpevolmente, per tempistica e tempestività di informazioni, mancava la citazione-insieme a quelle di Bimbisvegli di Asti, dell’Officina del Fare e del Sapere di Gubbio,della Scuola nel Bosco a Torino, di Fuoriclasse in Movimento di Save the Children e del NABA di Milano-della geniale esperienza della Scuola Elfica Interetnica presso l’I.C. Satta-Spano-De Amicis di Cagliari, che è giunta da poco, tra l’altro, a condividere un vero e proprio Patto di Corresponsabilità tra scuola, famiglia e quindi territorio, anche nella scuola primaria, con riferimenti espliciti all’idea di educazione diffusa.

Ecco, qui di seguito, il racconto quasi in diretta delle maestre e mentori che ho potuto anche incontrare di recente, per una fortunata coincidenza, proprio vicino alla loro “base”- protagoniste di questo eccezionale progetto.

Le maestre mentori della Scuola Elfica Interetnica con uno dei promotori (nel 2017 insieme a Paolo Mottana) dell’Educazione Diffusa.

La scuola elfica, una scuola oltre le mura.

Maestra Cicci Della Calce.

Nel cuore della città di Cagliari, dove i quartieri Marina e Stampace si incontrano, sorge la Scuola Satta. L’edificio, risalente al 1904, è imponente, austero, non si può guardarlo per intero senza volgere lo sguardo al cielo. Dietro le finestre, il suo cuore che batte, le tante generazioni di studenti che da più di un secolo popolano le sue aule. Un pezzo di quel cuore è la scuola dell’infanzia, istituita ventitre anni fa, che ospita più di centocinquanta bambini, dai tre ai sei anni, di diverse etnie, un preziosissimo mosaico frutto della politica di inclusione che la scuola porta avanti felicemente da decenni. È in questo variopinto contesto che è nata e vive la Scuola elfica per opera di un manipolo di maestre eroiche, di cui faccio orgogliosamente parte, artefici di una proposta rivoluzionaria: portare la scuola fuori dalle aule, a contatto con la vita di ogni giorno nella convinzione che la società più che gli edifici scolastici sia l’ambiente adatto per l’apprendimento, che le esperienze debbano essere ricche, intense e appassionanti e il più possibile trovare compimento nella realtà. 

Il quartiere educante

L’inizio di questa meravigliosa avventura risale a cinque anni fa, quando, ispirandoci ai nuovi modelli educativi che si stanno diffondendo in tutta Europa e a seguito di un accordo con l’associazione Punti di vista, partecipammo al progetto Scuola degli elfi (da qui il nome Scuola elfica) affiancandoci in otto uscite didattiche sul territorio. Per la prima volta, visitando parchi, boschi e spiagge, abbiamo sperimentato la didattica in natura e i benefici di fare scuola all’aperto, per la prima volta abbiamo assaporato il piacere di fare scuola oltre le mura vivendo il mondo e non guardandolo da dietro i vetri delle finestre delle nostre aule, per la prima volta ci è sembrato di aver realmente investito sulla felicità dei nostri piccoli. Dall’anno scolastico successivo, questa esperienza è diventata sistematica.

La vendemmia

Abbiamo creato un raccordo col territorio, convenzioni con orti e parchi; accordi con enti pubblici, privati e aziende; abbiamo stipulato un patto con le famiglie che ci hanno garantito il loro pieno sostegno e stanno contribuendo in maniera fondamentale alla realizzazione di questo progetto: portare la scuola fuori dalle aule e dentro la società, rendendo i nostri piccoli alunni protagonisti attivi del proprio apprendimento, soggetti che osservano, che contribuiscono, che partecipano, che offrono la loro creatività, la loro intelligenza e la loro fantasia per migliorare la vita sociale, che la colorano, la impregnano della loro vivacità e del loro colore, della loro sensibilità e della loro freschezza e spontaneità.

Il Portale

La scuola elfica è dunque un progetto di “scuola statale diffusa” che si pone quale alternativa all’istituzione scolastica tradizionale. All’apprendimento della scuola d’aula, mira ad affiancare un apprendimento realizzato con esperienze concrete da rielaborare e condividere rimettendo bambini e bambine in circolazione nella società che, a sua volta, assume in maniera diffusa il suo ruolo educativo e formativo. La scuola elfica aiuta i bambini  a trovare nel quartiere, nel territorio e nella città i luoghi, le opportunità, le attività nelle quali partecipare attivamente per offrire il proprio contributo alla società trasformando il territorio in una grande risorsa.

La strada

Il progetto nasce altresì dal desiderio di poter far vivere i benefici del vivere in natura, valorizzando tali esperienze in qualità di momenti di crescita personale e di gruppo, ricchi di concetti e metafore riconducibili alle tematiche e agli argomenti svolti in sezione attraverso la didattica esperienziale all’aria aperta, una metodica capace di coadiuvare e valorizzare i programmi tradizionali della scuola. Grazie alla grande ricchezza di stimoli e sensazioni, essere educati nella natura è fonte di innumerevoli benefici per i bambini, sia dal punto di vista fisico sia dello sviluppo cognitivo e psicologico. Ma la scuola elfica si gioca anche dentro le aule, ambienti  accoglienti, caldi, colorati che abbiamo adattato ai corpi dinamici dei bambini, una base dove riunirsi per partire, per poi rivedersi per condividere, rielaborare e approfondire, sono le nostre tane, quelle in cui ci rifugiamo, riflettiamo, ci sentiamo protetti, perché “l’elfitudine” non è solo un modo alternativo di fare scuola, è una filosofia, un modo di intendere l’educazione e la formazione dei bambini che mira a creare piccoli cittadini autonomi, che  offre  ai  bambini  la  possibilità  di confrontarsi  con  il  mondo  circostante, permette loro di acquisire maggior responsabilità e la possibilità di conoscere meglio sé stessi.  

La base

Attraverso   l’ampliamento del  raggio  delle  proprie  attività,  i bambini possono sperimentare contesti relazionali nuovi e sono  sempre chiamati a dare prova di sé e delle proprie abilità e competenze e del proprio livello di autonomia. E’ a partire dalla rinnovata presenza dei bambini nei nostri spazi comuni, e non più solo confinati in luoghi fittizi e separati, che il mondo può diventare di nuovo organico, affettivo, a misura di tutti. Attraverso il progetto elfico, la scuola finalmente esce dall’aula, entra in società per far parte di una vera comunità educante.Il ruolo di noi maestre è quello di osservatrici che, quando serve, intervengono  come mediatrici e accompagnatrici che mettono a disposizione dei bambini le informazioni e le esperienze che possiedono. Siamo  “basi sicure”, un riferimento a cui tornare e a cui rivolgersi quando i bambini ne hanno bisogno. Il modo di interagire con i bambini non può quindi essere direttivo, ma deve instaurare un dialogo continuo in cui una parte impara dall’altra. 

Il Castello

E i risultati? Li vedi dagli occhi dei bambini, dall’entusiasmo per un’esperienza nuova, dalla gioia per una nuova conquista; li vedi dagli sguardi dei genitori che ti affidano con fiducia il loro bene più prezioso in virtù di quel patto sotteso che la scuola elfica esige, di quella condivisione di intenti, in quel rispetto dei ruoli equamente importanti per la crescita armonica dei nostri bimbi. Questa è la nostra scommessa, ciò per cui lottiamo ogni giorno nella perfetta convinzione che la scuola elfica stia fornendo un validissimo contributo alla FIL (felicità intera lorda).

L’ Orto Botanico

Maestra Stefania (Stefania Piras): Ho modificato molte volte il mio modo di insegnare, ma la svolta maggiore è avvenuta cinque anni fa, quando nella scuola Satta abbiamo iniziato, in maniera sperimentale, l’avventura elfica e  ci siamo cimentati in una modalità differente di fare scuola.All’inizio non è stato facile. L’abitudine ad avere tutto esattamente sotto controllo è dura a morire. Poi in realtà ho scoperto che, con i dovuti modi, condurre i bambini nelle loro esperienze, lasciandogli il giusto spazio, è la carta vincente. Sanno sorprenderci, se diamo loro fiducia, se li rendiamo indipendenti, e in grado di gestire i propri bisogni e le proprie esigenze. Ho imparato a  lasciare ai bimbi la libertà di provare, di osare, stando distante, ma non troppo, vicina, ma non troppo, presente, ma non troppo. Ed è stato un successo. Anche nella didattica ho cambiato atteggiamenti: via le schede e i lavori preconfezionati, spazio aperto alla creatività, indirizzando dove occorre, e dando spunti, appassionando e interessando, scoprendo che ai bambini si può veramente insegnare di tutto, se si insegna divertendo. 

Simo, Maestra felice (Simona Buzzi): La scuola elfica è un mondo. Un mondo di colori, di curiosità, di creatività, di scoperta, ma soprattutto di stupore. La scuola elfica è  libertà di pensiero e di azione, di consapevolezza del proprio corpo, dei nostri limiti e delle nostre capacità. Ogni esperienza elfica rivoluziona il nostro modo di fare scuola, sia fuori che dentro le mura di un ambiente scolastico, perché non segna una strada da seguire, ma accompagna i bambini e le maestre nel meraviglioso viaggio della vita. Non sei elfico solo a scuola, ma in ogni scelta del quotidiano, contagi chi ti sta vicino e non puoi più tornare indietro, perché senti di aver fatto la scelta giusta per te e per i tuoi alunni. La scuola elfica è fortemente consigliata, ma, attenzione, dà dipendenza!

Una bellissima storia di affinità, quasi contemporanea all’uscita del Manifesto dell’educazione diffusa, che coinvolge diversi luoghi della città dentro e fuori di essa, come ad esempio l’Orto Botanico dell’Università di Cagliari o le botteghe, i musei, i. monumenti, i laboratori artistici.

Gli Elfi nei pressi della loro “base” vicino alla Piazza del Carmine

Dalla scuola dell’infanzia dell’Istituto Comprensivo Satta-Spano-De Amicis l’educazione esperienziale, come già detto all’inizio dell’articolo, si sta affacciando anche al segmento della primaria e si gioverà di un apposito patto già sottoscritto tra scuola e famiglie di cui vi riporto dei brani significativi:

  •  Promuovere e attuare scelte metodologiche alternative a quelle classiche attraverso pratiche di educazione diffusa con esperienze concrete di vita reale
  • Scoprire e valorizzare talenti e abilità di ciascuno studente
  •  Sostenere le scelte metodologiche di educazione diffusa con un’informativa sistematica e puntuale, attraverso una comunicazione diretta e con l’utilizzo di tutti i canali istituzionali
  • Realizzare passeggiate cognitive alla scoperta di quartieri, strade, luoghi naturali per ripensare, riprogettare e valorizzare il territorio, attraverso la conoscenza dello stesso, per tornare a prendersene cura e proporre eventuali suggerimenti per renderlo migliore, a partire dalle osservazioni e dalle analisi di bambini e bambine
  •  Creare connessioni e coinvolgere dinamicamente la comunità nel processo educativo, rendendola parte viva, attiva e collaborativa
  •  Far riscoprire la bellezza dello stare insieme collaborando per un fine comune.
  •  Favorire percorsi che permettano ai corpi dei bambini di muoversi autonomamente in spazi ampi e diversi dalle aule o dai giardini/cortili scolastici, favorendo il movimento per migliorare la stima di sé, controllare le emozioni e scaricare le tensioni
  •  Dedicare parte dei percorsi di educazione diffusa alle emozioni, alle relazioni, all’introspezione che promuova l’emersione dei sentimenti profondi dei bambini
  •  Favorire esperienze di cittadinanza attiva e solidale
  • Documentare il percorso con tutti gli strumenti possibili: studi scientifici, comunità virtuali, prodotti audiovisivi in modo che siano consultabili da altre scuole e città

I luoghi della città e del territorio teatri delle ricorrenti uscite dalla “base” sono quelli delle esperienze educative, anche incidentali, oltre che organizzate senza rigidezze. L’orto botanico, l’azienda agricola, la bottega, la piazza, la strada, la spiaggia. La natura, gli spazi urbani, gli edifici emergenti sono le scene dove si svolgono le ricerche, le scoperte attraverso le attività non in modo occasionale ma continuo e integrato in tutto il percorso educativo. La vita caratterizza la pedagogia stessa e in qualche modo la supera, come direbbe Colin Ward, con l’esperienza prima che con l’astrazione, provocando gli chocs educativi che inducono curiosità, osservazione, ritenzione e solido apprendimento. Questi bambini sicuramente avranno “anticorpi” potenti ed efficaci per resistere da ragazzi e adolescenti anche a certe perniciose influenze presenti durante il loro percorso scolastico futuro.

Durante i nostri incontri di formazione siamo venuti a conoscenza di tante esperienze fuori dal coro, magari più timide ma da ritenere comunque decisamente affini quando non esplicitamente ispirate all’educazione diffusa. Far conoscere e diffondere quanto più possibile queste esperienze sparse per l’Italia e a volte nascoste al grande pubblico e farle dialogare tra loro è di vitale importanza per sensibilizzare le persone e i gruppi verso un’idea sicuramente più libera ed efficace di educazione, anche allo scopo di organizzare, dopo i tanti incontri in giro per l’Italia, nuovi eventi ricchi di testimonianze e racconti approfittando anche dell’imminente uscita di un testo sul Sistema dell’Educazione Diffusa.

Tutte le iniziative citate rappresentano infatti le eccezionali avanguardie di un progetto che varrebbe la pena mettere in rete ed estendere per quanto possibile in forma sperimentale nella cosiddetta scuola pubblica, utilizzando anche le strade offerte dalle norme poco e malamente utilizzate sull’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole nella loro attuale configurazione sistemica. Un enorme grazie dunque ai territori educativi che si sono già coraggiosamente messi in gioco!

L’imago storica dell’educazione diffusa (2016)

20 Febbraio 2023

A cura di Giuseppe Campagnoli

con il preziosissimo contributo delle maestre “elfiche”: Cicci Della Calce, Simona Buzzi e Stefania Piras

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