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L’Italia del cambiamento. Silvio torna a farci ridere! Il padrino è morto aprendo la strada al post fascismo.

Last minute.

Oggi

Il padrino Silvio Berlusconi è morto.

Gérard Biard. Pubblicato il 12 giugno 2023.

Silvio Berlusconi, l’ex capo del governo italiano e miliardario sulfureo, è morto il 12 giugno all’età di 86 anni. Un breve testo per omaggiarlo… a modo nostro.

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È appena morto l’uomo più famoso d’Italia. No, non il Papa, l’altro: Silvio Berlusconi. Resta la domanda scottante: dove sceglierà – sì,potrà scegliere – il Cavaliere per trascorrere la sua eternità? Se sarà il paradiso, finalmente sapremo il sesso degli angeli, perché Berlusconi si è applicato tutta la vita per essere l’incarnazione del maschio latino in tutto il suo splendore e tutta la sua arroganza. Se invece sarà l’inferno, è meglio che Satana si aggrappi al suo trono e controlli le sue truppe, perché sta arrivando un serio concorrente e potrebbe esserci un colpo di stato nell’aria sulfurea.

Per sfuggire al giudizio, anche all’ultimo, Berlusconi è capace di tutto. Lo ha ampiamente dimostrato nel corso della sua interminabile carriera politica, iniziata nel 1994, all’indomani dell’Operazione Mani Pulite. Ironia della sorte, questa “spazzata giudiziaria” mirava a recidere il cordone ombelicale che legava alcuni partiti politici italiani – la Democrazia Cristiana, ovviamente, ma anche il Partito Socialista – alla mafia siciliana. Senza fortuna, ha spianato inconsapevolmente la strada al più mafioso, al più corrotto, al più abile e al più disinibito di tutti. Imprenditore a tutto campo – immobiliare, cinema, televisione, editoria, finanza, pubblicità, telefonia, calcio… – Berlusconi è diventato in un batter d’occhio uno dei pilastri fondamentali della politica italiana degli ultimi trent’anni. Tutto questo nonostante più di 30 cause legali per evasione fiscale, corruzione, falsi bilanci, finanziamento illecito di partiti politici, appropriazione indebita di fondi pubblici, associazione mafiosa, prostituzione minorile…

Se il suo ultimo mandato da Presidente del Consiglio (2008-2011) non è stato altro che un lungo vaudeville di merda, punteggiato essenzialmente da affari non sempre importanti e feste da “bunga bunga”, il suo ingresso in politica è stato di tutt’altro profilo, con conseguenze che sono andate ben oltre i confini dell’Italia. È stato il primo miliardario ad entrare in politica, scolpendo nella pietra l’idea che lo Stato è un business come un altro e che il cinismo può servire da moralità, aprendo la strada a una sottile schiera di avatar, tra cui Trump è senza dubbio il più vincente. Fu il primo, indagato a tutto campo  dalla giustizia, a parlare di “giudici rossi” e a teorizzare il “complotto” dei magistrati. Soprattutto è stato il primo a “sdemonizzare” l’estrema destra, governando, fin dal suo primo mandato, con i postfascisti di Alleanza Nazionale e con i regionalisti xenofobi e antieuropeisti della Lega Nord.

A Charlie si è scritto molto su Silvio Berlusconi. Anche senza seguire da vicino la scena politica italiana, per molti anni è stato molto arduo da trattare ,soprattutto per un giornale satirico a cui piace ridere di cose non necessariamente divertenti. Ci mancherà? NO. E tanto meno oggi che abbiamo molto a che fare con la sua eredità. Parce sepulti sed…mancherà molto alla satira internazionale. Ricordo un articolo divertente di qualche anno fa su Charlie Hebdo. Speriamo che manchino i suoi danari alla destra.

Nel 2018

Tra cugini non ci si ama molto ma ci si conosce a fondo e  ci si dice la verità. Così Charlie Hebdo ci vede oggi. Fa le pulci ferocemente tutti i giorni a Macron, al suo governo e ai suoi ministri e ora tocca a noi vicini di casa.Non ci offendiamo. Non è null’altro che la verità vista da  un parente disinteressato abbastanza lontano da capirci e da non essere coinvolto emotivamente (come i nostri fratelli spagnoli o greci, per esempio)

Di Gerard Biard. Traduzione di Giuseppe Campagnoli.

“Non ci giriamo troppo intorno. Chi potrebbe credere che il governo appena insediato in Italia possa essere una cosa seria con il suo presidente del Consiglio prestanome, i suoi due vice capibanda Salvini e Di Maio e il suo patchwork di provinciali violenti di estrema destra, di anti parlamentari 2.0 e di grigi tecnocrati? Non ci nascondiamo dietro un dito. Solo un uomo potrà salvare l’Italia è restituirle il suo spirito naturale: Silvio Berlusconi. Ora, riabilitato, è pienamente disponibile. In questi tristi tempi non sputiamo su una buona occasione per divertirci. Ecco i diversi motivi:

  • È una garanzia di stabilità perchè ormai dal 1991 è stato tre volte presidente del Consiglio e non ha mai lasciato la scena.
  • Assicurerà una credibilità internazionale grazie alla sua solida amicizia con Putin. Anche lui gli offerto un letto a baldacchino!  Con Trump sarà culo e camicia nel condividere contatti di escort e serate bunga-bunga.
  • L’unione europea sarà rassicurata perchè saranno meglio le sue barzellette sporche nei summit e le corna nelle foto ufficiali che una minaccia permanente di Italexit!
  • Non è per nulla cambiato: in una recente riunione locale del suo partito ha dato il meglio di sè: quando una ragazza gli ha donato una crosta di un artista locale ha esclamato: ” se potessi scegliere prenderei te” e al dirigente regionale del partito che gridava  : ” ma è mia figlia!” ha risposto con : ” tu hai proprio buon gusto”
  • Infine, cosa più importante, è che gli elettori della Lega e del M5S non si crederanno traditi. Infatti i punti più importanti dell’accordo di governo sono esattamente nella linea di destra di quello che ha fatto o sognato il Cavaliere negli ultimi anni. La flat tax? Lui l’ha proposta fin dal 1994 ma non è mai riuscito a farla approvare. I migranti fuori? Aveva personalmente trattato con Gheddafi per trasformare la Libia in una specie di secondo confine per fermare le flotte di migranti: esattamente ciò che fa l’UE oggi con Erdogan. Tutto questo è la prova del suo talento visionario.Il suo sistema di contenimento dei migranti fu ripreso dal centro sinistra ed è tuttora sostanzialmente in vigore. 

Anche per il sud   ha fatto moltissimo anche con i suoi dinamici rappresentanti (Cosa Nostra, Camorra, Ndrangheta…). Si è impegnato a lungo per una giustizia più semplice ed efficace. Durante i suoi interminabili  mandati non si è mai così tanto adoperato per riformare la giustizia! Il riavvicinamento alla Russia? I suoi legami con Putin sono noti.

Vista dall’esterno come dall’interno la politica  italiana appare come una lunga serie di barzellette. Non si immaginava che si sarebbe prolungata per tanto tempo fino a incarnarsi, un po’ cambiata ma certamente esasperata e manifesta , nel fumoso governo tricefalo del “cambiamento”. Ridiamo allora perché è tutto quello che resta da fare…”

E io aggiungo: finché non ci resterà null’altro che piangere.

Nel 2022 non ci restò null’altro che ribellarci. Ma forse non tutti i mali ( in generale) vengono per nuocere. E se ora la destra rimanesse senza sghei?

Giuseppe Campagnoli

8 Giugno 2018-12 Giugno 2023

Dissertazione leggera su istruzione ed educazione

Dissertazione sulle educazioni in tempo di epidemia di sapienti diffusi.

Prendo spunto da un appello collettivo su Libération di oggi legato alla questione delle scuole parentali per riflettere ancora sull’idea concreta di educazione coniugata con le difficoltà del tempo. Si tratta di un appello a doppia faccia perché l’educazione non va comunque parcellizzata tra outdoor, parentale, senza quello o senza questo, cooperante, dei piccoli e grandi paesi e delle piccole e grandi scuole, laboratori qui e là, ma resa totale e diffusa con una virtuosa integrazione tra pubblico e volontario incidentale sia esso sociale  che familiare e finalmente frutto di un virtuoso repertorio tra le mille spurie esperienze storiche e attuali. Superare le “educazioni distratte” per una unica educazione diffusa pubblica, cioè collettiva e sostenuta da tutti, è la via migliore per garantire pari opportunità a tutti nella vita e per non cedere ad élite opportuniste o esibizioniste spazi tali da privilegiare parti della popolazione a discapito di altre. L’ educazione (con tutto ciò di implicito che si porta dietro: istruzione, formazione, crescita consapevole, partecipazione, eguaglianza, gioco, ambiente, etc..) non deve separare  e classificare ma unire e rendere liberi e autonomi servendosi delle risorse della collettività (stato, finché ci sarà, cittadini, associazioni, politica, cultura, arte, natura…).

“In Francia (come in parte anche in Italia) l’istruzione è obbligatoria, ma i bambini possono essere istruiti al di fuori del sistema educativo statale o anche di qualsiasi istituzione scolastica, ciò che comunemente si chiama «istruzione parentale » secondo il principio della libertà pedagogica garantita. Da poco più di vent’anni, i governi successivi, sia di destra che di sinistra, non hanno cessato di limitare progressivamente questa libertà a colpi di rimaneggiamenti delle norme sull’istruzione e di restringere così la morsa del controllo istituzionale statale sulla formazione dei bambini che si sono visti imporre una «base comune», dei livelli successivi e, più recentemente, addirittura un abbassamento dell’età a partire dalla quale l’applicazione delle norme educative e l’acquisizione delle conoscenze e competenze dovranno essere controllate.

Oggi, vietando l’istruzione a domicilio, il presidente della Repubblica eliminerebbe ogni possibilità di istruirsi diversamente. Potremmo indirizzare le nostre argomentazioni contro questo disegno di legge in molti modi. Potremmo evocare, ad esempio, il carattere offensivo di una tale legge rispetto ad una libertà che riteniamo fondamentale, non solo in quanto permette di garantire il rispetto della diversità delle scelte educative, sociali, culturali, economiche, in sostanza, delle scelte di vita. In tal modo, mostreremmo come questo progetto si inserisce in un quadro più ampio di restrizione delle libertà individuali e di impoverimento del modo di vivere. Potremmo anche denunciare, non tanto il carattere irrisorio e tutto sommato poco influente o piuttosto il valore simbolico di questa misura, ma invece la sua evidente, palese, scandalosa inadeguatezza rispetto ad un problema mal identificato e descritto, quello del «separatismo» religioso o, cerchiamo di essere più diretti, del «separatismo» che è in gran parte un prodotto dell’intolleranza per esempio, nel caso della Francia e non solo, verso la comunità musulmana e delle discriminazioni che subisce anche in fatto di cultura.

Vorremmo invece soprattutto evocare la deriva sicura di una classe politica che sa gestire la violenza solo attraverso più controllo, quindi più violenza. Vorremmo ricordare un’altra convinzione, fonte di sofferenze: quella secondo cui la scuola deve, in via prioritaria, garantire la sicurezza dei bambini, quella secondo cui essa potrebbe proteggerli, come pure l’insieme della società, da tutti i suoi mali. Probabilmente lo fa, in un certo senso, per alcuni figli di genitori estremamente violenti o deboli. Ma il «racconto» della scuola omette sistematicamente di evocare la violenza strutturale dell’istituzione scolastica. Non ci riferiamo qui solo alla violenza nelle scuole (racket, molestie, ecc.). Si tratta di una violenza di situazione che produrrà atti di violenza: quella che consiste nel raggruppare in un luogo chiuso e separato dalle altre attività umane tutti i bambini di età compresa tra 3 e 16 anni (o più) per impartire loro un insegnamento inadeguato alle loro esigenze di sviluppo, ai loro ritmi e alla loro sensibilità. La scuola è la causa principale della drastica riduzione del tempo libero dei bambini, di cui molti psicobiologi, come Peter Gray o Hubert Montagner, hanno mostrato gli effetti deleteri. La scolarizzazione esercita una presa totale sulla costruzione dei figli e causa rotture affettive con la famiglia. D’altra parte, la sociologia, che così spesso ci confronta con le nostre illusioni, ha dimostrato a più riprese come la scuola, anche ammettendo che sia riuscita ad elevare il livello globale d’istruzione della popolazione da un secolo, non riesca a ridurre le disuguaglianze, ma le produca o le riproduca. La scuola ha anche prodotto un male nuovo: «l’insuccesso scolastico»(misurato con i parametri del nostro sistema mercantile e competitivo)

L’ambiente familiare non ha del resto il monopolio delle violenze (fisiche, psicologiche, sessuali) Queste infatti si verificano anche tra le pareti della scuola, dove figure di autorità possono essere tentate di abusarne continuamente.. La violenza sessuale sui minori, in particolare, che ha luogo nell’ambiente familiare, può talvolta essere riprodotta e replicata a scuola dalle sue vittime su altrettante vittime. Se ricordiamo tutti questi fatti, non è per chiedere l’abolizione della scuola (ne siete sicuri?) ma per mettere le cose in prospettiva e mostrare i limiti delle promesse di un governo che sbaglia: no, più scuola e meno libertà, non ci premunirà contro la violenza. Le salvaguardie, spesso, generano le violenze che dovrebbero prevenire, instaurano una falsa sicurezza e sono deleterie. La fine della possibilità di vivere e di istruirsi fuori dalla scuola (e non al suo margine), o addirittura libera dalle costrizioni di una società scolastica, rappresenta non solo una privazione, una negazione di libertà, un’impossibilità di scegliere il proprio stile di vita, ma anche un impoverimento culturale dello stesso ordine di quello che consiste nell’uniformare, standardizzare, normalizzare, calibrare gli individui secondo una logica di gestione meccanica industriale della vita. Tutto in nome di un pretesto, forse di una menzogna: quella della sicurezza. La sicurezza è sempre stata la scusa di coloro che vogliono instaurare più controllo, smantellare gli ultimi bastioni di diversità e di autonomia, piuttosto che riflettere su modi diversificati, resilienti, flessibili, non polizieschi e soprattutto collettivi di gestione delle violenze. In definitiva, è forse questo che preoccupa maggiormente e, in questo caso, la minaccia «separatista» sarebbe un pretesto.

Ancora una volta, il sacrificato è il bambino, definito dalla sua vulnerabilità che esige una protezione in spregio dei suoi diritti più fondamentali. Proteggere un bambino significa costringerlo a vivere e a formarsi in qualche modo? Dovrebbe essere possibile lottare contro gli abusi subiti dai bambini in un contesto familiare «separatista» senza vietare l’istruzione in famiglia.

Firmatari: Yazid Arifi cofondatore dell’Ecole Démocratique de Paris, Elodie Bayart antropologo, Bernard Collot insegnante pensionato, Marc-André Cotton insegnante, Manuèle Lang giornalista, Olivier Maurel professore pensionato, Daliborka Milovanovic filosofo, Thierry Pardo ricercatore, Ophélie Perrin terapista, e Audrey Vernon attrice”

Naturalmente anche questo appello si pone, ahinoi, sempre dentro il recinto della non abolizione della scuola attuale ma della richiesta di libertà di porvi accanto altre forme libere.Una libertà prevista da tante Costituzioni pensate a metà del secolo scorso e sul modello di una scuola più fondata sull’addestramento che sull’educazione ed appannaggio esclusivo o quasi degli stati nazionali. Il lapsus ideale è quello di insistere sul termine di istruzione e non concentrarsi invece su quello più ampio e significativo di educazione. Si continua a lasciare, mettendo incautamente in campo anche le religioni, la porta aperta, purtroppo, a forme talvolta elitarie e settarie di istruzione che moltiplicano la scolarizzazione della società invece di andare nella auspicabile direzione opposta. Ricordo per inciso una mia digressione recente sulle diverse “educazioni” in campo e sulla necessità che ne venga superata la loro fittizia e surrettizia distinzione per passare attraverso una salutare fase di descolarizzazione progressiva in funzione della contemporanea costruzione dell’educazione diffusa che le ricompone, le sintetizza superandole mirabilmente. Scrive Paolo Mottana coideatore del Manifesto della educazione diffusa: “Quindi, se si vuole cambiare, il primo passo è FARE FUORI LA SCUOLA (ndr: così come è intesa ormai da qualche secolo) reimmettere bambini e ragazzi nel tessuto della vita reale facendo sì che questa vita reale, la nostra -DI NOI ADULTI- cambi e sia in grado di accoglierli e accompagnarli. Che il disegno dei nostri territori cambi, in modo da poterli ospitare mentre crescono verso la LORO AUTONOMIA, e non assorbendo il sapere che alcuni ritengono utile per loro per inserirsi al più presto nel mondo del lavoro. Per assicurargli, con L’EDUCAZIONE DIFFUSA che alcuni veri rivoluzionari della CONTROEDUCAZIONE hanno messo a punto, di individuare i LORO TALENTI, i LORO DESIDERI, e dare forma alla LORO VITA.”

Nella presentazione, su di una rivista universitaria francese “Le Télémaque”, di un Dossier denominato proprio “L’ educazione diffusa”, dotto e interessante dal punto di vista teorico, Didier Moreau, docente di filosofia ed educazione all’Università di Paris 8, disquisisce sui concetti di educazione formale, non formale ed informale evocando perfino Cicerone e Platone mentre rammenta un primo utilizzo en passant del termine “educazione diffusa” da parte dell’UNESCO in una accezione riduttiva di mera educazione informale, per giungere alla determinazione, fluttuante ancora nelle nebbie della dissertazione filosofica, che l’educazione diffusa è quella che provoca gli choc emotivi e li rende fonti di apprendimento. Si afferma infatti che non è solo la struttura formale che rende possibili i saperi e alimenta i ricordi e la memoria in funzione educativa: “L’esperienza forma e rende attenti e partecipi a tutto ciò che forma.” Questo pare essere in definitiva uno slogan sottotraccia dell’educazione incidentale per aree di esperienza che porta direttamente all’educazione diffusa come la intendiamo noi.
Se la famiglia e la scuola sono sempre stati considerati i luoghi per eccellenza dove bambini e bambine, ragazzi e ragazze, acquisiscono una formazione, nella idea di educazione diffusa si decide invece di esplorare un particolare aspetto dell’educazione che prescinde da queste istituzioni: l’incidentalità guidata. Ecco allora che le strade urbane, i prati, i boschi, gli spazi destinati al gioco, gli scuolabus, i bagni scolastici, i negozi e le botteghe artigiane si trasformano in luoghi vitali capaci di offrire opportunità educative straordinarie. Questa istruzione informale, non formale e incidentale, in una unica parola e idea, “diffusa”, volta alla creatività e all’intraprendenza, rappresenta una concreta alternativa a un apprendimento strutturato, programmato e chiuso in genere tra quattro mura che risponde più alle esigenze dell’istituzione e del docente che alle necessità del cosiddetto discente. Si configura così un approccio al tempo stesso nuovo e antico alle conoscenze in grado di fornire un’efficace risposta a quella curiosità, a quel naturale e spontaneo bisogno di apprendere, che sono alla base di un’educazione autenticamente libera ed autonoma, seppure guidata per i saperi da figure come i mentori e gli esperti (trasformazione virtuosa dei maestri e degli insegnanti affiancati da chi nel territorio possiede e usa saperi diversi e complessi che non si apprendono senza esperienza).

Chiudo ricitando una frase rubata ad una trasmissione recente di France Culture dedicata alla scuola del nostro tempo.

Collage di varie educazioni diffuse. Immagini dal progetto “Bimbisvegli” di Serravalle d’Asti

La classe en plein air, un’idea piena di avvenire ? Mentre si avvicina la ripresa della scuola e pone numerosi interrogativi tra i maestri, i professori, i genitori e gli alunni, diversi ricercatori, pedagogisti, insegnanti e formatori hanno firmato un appello per condividere i vantaggi della educazione all’aperto, nella città e nei suoi luoghi, comunque fuori dalle mura scolastiche soprattutto in tempi di pandemia”

Giuseppe Campagnoli 9 Ottobre 2020

Ma questo è un bel manifesto!

“Ma questo è un bel manifesto!” Ha esclamato una mia amica leggendo questi punti che ho buttato giù ma che ho in mente da sempre per avviare la società ad un futuro vicino all’equità, alla libertà ed alla fratellanza tra gli uomini. Come sosteneva Rousseau tutti i mali sono venuti dal possesso e dalla proprietà ed è per questo che è proprio l’economia a fare la differenza tra uno stato di sfruttamento, di povertà e ricchezza contrapposte ed uno stato di libertà. Nella nostra Italia martoriata da tempo, giusto fin dalla sua “non-unità” una delle caratteristiche più eclatanti è che siamo da tanto un paese  povero e allo stremo, con servizi collettivi al collasso mentre tanti cittadini sono più meno ricchi e risparmiatori. Non vi fa venire in mente qualcosa di lapalissiano questa constatazione? Da dove vengono i danari per i servizi, per lo stato sociale, per il funzionamento della nostra comunità? Dai contributi dei cittadini attraverso le tasse. E allora perché lo stato è povero e gran parte   dei suoi cittadini  di fatto non lo è e tende a nasconderlo nelle banche, nei beni immobili oltre la casa dove abita e in investimenti vari, salvo poi il piagnisteo  e la ignobile pretesa che tutti paghiamo per loro quando vengono truffati per la loro dabbenaggine o la loro ingordigia? Tutto ciò accade perchè c’è troppo mercato e troppo poco Stato. E c’è un sistema fiscale decisamente iniquo che non accenna, neppure nelle intenzioni elettorali di tutti i contendenti a cambiare per nulla. La cosiddetta tassa piatta e le elemosine sotto varie forme, tendenti a lasciare i poveri come sono e i ricchi anche, se non ad aumentarli, aggravano questo stato di cose. Per una società più giusta e più libera, non certo utopica , molto si potrebbe fare già da ora, non solo nel nostro strano paese dove l’analfabetismo di ritorno ed una scuola chiusa, inutile per i più e a senso unico hanno vanificato l’educazione e il vero senso di solidarietà ed onestà nella maggior parte della gente che viene invece sopraffatta dall’ignoranza e dall’ egoismo. Questi potrebbero essere i primi utili passi in una sorta di lista delle azioni propedeutiche ed ineluttabili verso una democrazia laica e libertaria.

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« Il fondamento della vita in comune è l’educazione ed è tempo di una vera e propria rivoluzione in campo educativo: educazione incidentale, libera, senza muri e orari, senza competizione, forte e aperta a tutti i saperi, senza discriminazioni e separazioni di sorta.

Il fondamento dell’equità è la lotta allo sfruttamento e alle diseguaglianze che generano ricchezze e povertà. Occorre ridurre queste disuguaglianze agendo sulla forbice tra redditi e ricchezza personale o collettiva  con un tassazione che riduca gradualmente la differenza tra redditi e patrimoni minimi e massimi al massimo (massimo!) a 12 volte. (CFR Le Facteur 12”) Qualsiasi profitto serve a garantire una vita dignitosa e deve essere per forza reinvestito per la ricerca, il sociale e ridurre la dipendenza della vita dal lavoro.    

Le libertà ed i diritti civili conquistati con tante lotte e sacrifici nei secoli sono intoccabili e vanno ampliati (aborto, divorzio, unioni civili, concetto obsoleto di famiglia, lotta alle discriminazioni sessuali, di religione, di provenienza geografica…) 

Nazioni, patria e  frontiere sono concetti di altri tempi e dei tempi delle guerre. La solidarietà  collettiva e individuale tra umani e soprattutto  verso le persone vittime di guerre, fame, carestie e danni provocati direttamente o indirettamente da colonizzazioni, predazioni multinazionali e mercanti e impresari di paesi diventati ricchi sulle spalle del terzo mondo è una legge di civiltà per tutti, in Italia, in Europa, nel mondo.

La gratuità e l’accesso totale alle cure  di qualità  per tutti in qualsiasi situazione personale, geografica  e anagrafica sono diritti fondamentali. Occorre sottrarre al mercato la salute e la medicina.

Occorre togliere gradualmente al mercato  ed alla speculazione anche altri beni e servizi fondamentali e vitali come agricoltura, cibo, acqua, casa, educazione, ambiente, trasporti…

E’ fondamentale, in attesa della liberazione dalla schiavitù del lavoro, l’ istituzione di un reddito minimo (e di un limite anche massimo per equità)  e di un reddito di cittadinanza universale con fondi tratti dalla tassazione e dalla riduzione di redditi e patrimoni che eccedono la regola equa (e implicitamente scritta anche in Costituzione negli articoli dedicati al lavoro, alla iniziativa privata, alle tasse etc..) del fattore “12”.

È essenziale la tutela globale dell’ambiente naturale e di tutti gli esseri viventi e auspicabile la graduale abolizione di allevamenti intensivi per il mercato dell’ iperproduzione.

La religione è un fatto personale. La società  e lo Stato sono laici. 

E non finisce qui.

Giusepe Campagnoli

22 Maggio 2019

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