De senectute 2023

De Senectute 2023. Dialogo tra vecchi.

Claudio Segattini. Architetto in pensione.

“A distanza di 10 anni da quando, in occasione dei miei 70 anni      ho riflettuto sulla  vecchiaia,  sulla condizione degli anziani, devo constatare che non è cambiato niente  da allora. Siamo ancora circa il 25% del totale della popolazione nazionale, ossia la bellezza di 15.000.000 di giovani virgulti ma nessuna delle altre categorie sociali si da da fare per valorizzare ed utilizzare tale massa di persone, comprese paradossalmente anche quella dei politici, sempre a caccia di voti, ma in tal caso ciechi nel non comprendere il potenziale costituito dagli anziani.  In parte sono pure gli stessi vecchi spesso sembrano fregarsene del fatto innegabile che hanno accumulato un’ esperienza significativa ed anche una saggezza invidiabile: una peculiarità non comune a tutti, sia chiaro, ma sicuramente a moltissimi di loro.  Spesso ci si ricorda di loro solo per accudire i nipoti, fare la spesa, pagare le bollette, aiutare economicamente, disperdendo però un capitale umano impressionante. E’ ovvio che esistono (o persistono?) anche persone anziane che hanno ancora un gran peso nella società attuale (professionisti, imprenditori, politici, docenti, artisti) ma percentualmente pochissimi, una specie di oligarchia, spesso meritocratica, che mi pare non ponga particolare attenzione agli “altri vecchi”, se non in termini di mero utilizzo contingente. Resta il fatto che l’assenza di gran parte dei soggetti over 65 , paragonabile ad un esercito muto, non creerebbe un grande scompiglio nei confronti della società di cui “stranamente” fanno ancora parte.

Ma c’è una contraddizione evidente ed un paradosso in un settore in cui la presenza di tali attempati soggetti si rivela assolutamente essenziale in quanto alimenta in modo determinante il mondo delle cure mediche, del mantenimento della salute, ossia di quell’enorme apparato che si impegna costantemente ad allungare all’infinito la vita degli anziani con un mercato colossale, supportato dalla convinzione, culturalmente imperante,  che sia giusto allontanare la morte all’infinito e che occorra preservare l’esercito di consumatori per sé e per coloro che mantengono e supportano in virtù delle disuguaglianze sempre più gravi e diffuse. Da un lato quindi c’è da rilevare come un numero enorme di cittadini è come se non esistesse, per cui non contano niente, dall’altro invece si fa di tutto per perpetuare la loro esistenza, per cui contano eccome!Tale plateale contraddizione acquista invece una logica indiscutibile se si pensa cinicamente alla categoria dei vecchi unicamente come sostenitori materiali dei propri figli-nipoti, delle aziende farmaceutiche e dello Stato mediante le tasse ricavate dalle pensioni che insieme ai dipendenti costituiscono la massima fonte di introiti per lo Stato.

C’è ancora un altro aspetto sostanziale che caratterizza i vecchi, sino ad ora non menzionato strumentalmente, ossia che tali soggetti sono contemporaneamente fruitori di azioni affettive ed erogatori di affetti, il che potrebbe immediatamente riqualificarne l’identità, il ruolo, ma c’è da domandarsi in tutta onestà se tali caratteristiche siano veramente sostanziali per modificare l’opinione imperante su tali esseri umani. A questo punto mi viene spontaneo domandarmi come tutto ciò abbia potuto avvenire. Penso che uno dei motivi possa farsi risalire al fatto che molti anziani fruiscono di una pensione, che li rende, (non sempre e non abbastanza a dire il vero) economicamente autosufficienti, per cui: perché preoccuparsi per loro? Classico atteggiamento derivante dal fatto che tutto si riduce a considerazioni di tipo economico. Un altro motivo può essere determinato dal fatto che le continue modificazioni comportamentali che caratterizzano i rapporti fra le persone, a causa dei continui sviluppi tecnologici, hanno avuto come conseguenza che molti anziani non riescono a tenere il passo con tali continue novità, comprese quelle del linguaggio, diventando inadeguati ai tempi in essere, per cui vengono inevitabilmente considerati “out”, esclusi dalla stessa società in cui però “singolarmente” continuano a far parte.

Ho potuto constatare personalmente che molti di tali individui hanno accettato serenamente di non contare più di tanto, poiché si sentonofinalmente deresponsabilizzati dal fatto di darsi da fare socialmente e di dovere trasmettere le proprie competenze culturali. Insomma, dal momento che hanno raggiunto la pace dei sensi, la pace dovuta all’essere fuori dalla mischia, dalla competizione quotidiana, dalla confusione del mondo, non possono che considerarsi dei privilegiati. Per cui perché ci si dovrebbe preoccupare della loro condizione? Tutto ciò penso che derivi da una concezione imperante nell’attuale società, ossia che la valutazione del prossimo si basi unicamente, compresi evidentemente i vecchi, sulle loro caratteristiche materiali, per cui se costoro su tale piano non manifestano problemi, perché cercare con loro dei rapporti stimolanti, vivacizzanti, perché pensare che ascoltandoli, implicandoli, attivare un confronto con loro possa derivarne un beneficio per entrambe le categorie sociali implicate?

O ancora, poiché i “non vecchi “ devono già affrontare quotidianamente un sacco di problemi, che motivo hanno di occuparsi dei “non problemi” dei vecchi? Oltretutto se anche costoro non esternano rivendicazioni di sorta, perché non perpetuare il più possibile questa particolare pace sociale che si manifesta regolarmente? In definitiva, dal momento che costoro non protestano, non esprimono il proprio punto di vista, spesso neanche votano, praticamente è come se non esistessero, perché intrattenere rapporti con loro, occuparci della loro condizione? Semplice, perché ripeto, ma spero che mi scusiate, tale realtà, tale pace si traduce paradossalmente in uno spreco di risorse umane drammatico che mi intristisce molto.

Tale dispiacere, a ben vedere, mi pare che si possa tranquillamente provare anche per il resto della popolazione , che non mi pare particolarmente impegnata nel porre attenzione alle prerogative significative, positive del prossimo, ossia dell’imponente potenziale di cui dispone e di cui ci si potrebbe avvalere per trarre un giovamento generalizzato. Pura utopia? Certo, ma perché non ricordarci ogni tanto del suo innegabile fascino!

Tornando al dispiacere personale nei confronti del popolo degli anziani, mi sa che nasconde malamente anche quello soggettivo, costituito dal fatto che soffro della constatazione che la mia tenera età mi impedisce di dare spazio ad una energia ed ad una espressività che è ancora corposa in campo intellettivo, ma pesantemente limitata in quello corporeo.Ne deriva una frustrazione notevole, che sono convintissimo appartenga anche a moltissimi miei “colleghi” e che si traduce in un sentimento comune. Ritengo unicamente superabile, da parte nostra, se ci dessimo da fare per farla conoscere agli “altri”, non per impietosirli, ma per renderli coscienti che le nostre e le loro frustrazioni ci rendono simili, scoprire quanto siamo uguali e pertanto (mal comune mezzo guaio) in grado di aiutarci o, come minimo, di capirci meglio. 

Sento ora il bisogno di soffermarmi sugli aspetti comuni che caratterizzano gli anziani:

1° Aspetto:

               La salute. Non scopro certo niente affermando che il nostro “tutto” dipende da come si sta in salute, quanto si sia assoggettati ai malanni con cui dobbiamo spesso convivere e le implicazioni sul piano psicologico. Nei casi più gravi si può arrivare a domandarsi che senso abbia continuare a vivere, se ne vale la pena. Sono convinto  ne valga la pena specialmente se ci si rivolge alla natura più che alla farmacopea sintetica per avere più rispetto dei nostri corpi cercando di combattere le cause per cui si sta male e non gli effetti derivanti.

2° Aspetto:

               La riflessione. Spesso, quando si va in pensione, viene automatico domandarsi come è stata la nostra vita sino a quel momento e si impostano programmi ottimistici per il futuro: Desiderio di stare finalmente tranquilli, di dedicarsi a nuovi interessi, di approfondire quelli già sperimentati, fare viaggi, seguire le novità, coltivare gli affetti, approfondire la propria cultura, la politica, la spiritualità, un vero paradiso. Ma poi, con lo scorrere degli anni e con la mutazione inevitabile della propria condizione e di quella del mondo, ci si rende conto di tutti quei limiti a cui siamo assoggettati. Allora, per evitare la depressione si può scoprire o riscoprire che disponiamo di una amica formidabile, ossia la riflessione, che può aiutarci molto bene a fare il punto della situazione, a fare chiarezza, a diventare un caro e disponibile supporto ogni volta  che avremo bisogno di lei, per aiutarci a recuperare una forma decente di equilibrio, indispensabile per dare ancora un senso alla nostra esistenza.

3° Aspetto:

               La morte. E’ il classico aspetto della vecchiaia con cui dobbiamo inevitabilmente fare i conti. Ho potuto constatare che per ragioni probabilmente culturali o per il semplice fatto che non si vuole perdere la vita, molti miei simili sono molto preoccupati di non poterla evitare, addirittura evitano puntualmente di affrontare l’argomento e i tacitano chi casualmente osa accennarvi. Tutto ciò perché fondamentalmente pensano che possa trattarsi di una brutta esperienza. Ci sono invece quelli come me che per fortuna o per fatalismo o addirittura poiché pensano che il fatidico momento possa rappresentare l’inizio di una appassionante avventura, non hanno nessuna paura di morire (bisogna poi vedere al momento buono!!) e che provano ad ipotizzare soggettivamente come sarà il dopo vita, non tenendo in alcuna considerazione ciò che è stato detto per secoli e con grande sicurezza, dagli imbonitori delle religioni.

Foto di Jonas Peterson

Ritengo anche che valga la pena di riconoscere che la morte rappresenti una lapalissiana manifestazione di democrazia, poiché tocca a tutti inevitabilmente, sia belli che brutti, ricchi o poveri, intelligenti e stupidi ecc. ecc. Essa è in grado di realizzare platealmente una situazione che in tutta la mia, la nostra vita, non abbiamo mai potuto vedere realizzata appieno. Siamo di fronte ad un appianamento positivo della condizione umana, che definirei un fantastico miracolo, cui guardare, in quanto tale, almeno senza paura. Tutto ciò anche alla luce del fatto che, dopo avere raggiunto una età avanzata, è ben difficile che, quando se ne sentisse ancora il bisogno, sia possibile riscattare il valore della nostra vita precedente, puntando su un exploit finale scoppiettante e totalmente appagante. Troppo spesso tale obiettivo si rivelerà del tutto velleitario. Per cui penso che per costoro possa essere più producente soffermarsi sui momenti piacevoli che la vita gli ha regalato, su quelli ancora disponibili e guardare alla prossimo cimento inevitabile con un poco di ottimismo.Siamo agli sgoccioli e in definitiva ritengo, pienamente cosciente di quali sono i vari aspetti della vecchiaia, che valga pienamente la pena di darsi ancora da fare per rendere edificante tale stagione della nostra vita.

                                                                   

Giuseppe Campagnoli. Architetto e preside in pensione.                                                        

Partecipo alla riflessione volentieri cercando di essere, come si diceva una volta, breve, succinto e compendioso. Considero da sempre le fasi della vita come improntate al detto fisico:” nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Il problema dunque sono le trasformazioni e il loro valore. Soprattutto nel nostro paese esiste il giovanilismo accanto  al perseverare diabolico di chi non vuole mollare il suo potere, grande o piccolo che sia. Una separazione che provoca solo danni. L’esercito muto di cui tu parli è generato dalla separazione imposta tra generazioni, una separazione pericolosa e dannosa.Ricordo quando, ormai 10 anni fa, partecipai ad un progetto europeo a Liegi dove con grande sorpresa mi ritrovai a studiare e fare cose artistiche insieme a coetanei di 65 anni o giù di li, giovani trentenni e quarantenni, ragazzi delle scuole e cittadini di ogni età. Ne scaturirono prodotti eccezionali frutto di differenti sensibilità ed esperienze messi in una mostra internazionale del titolo “Il n’y a pas  d’heure pour créer”

Dal film La nuit. 2012

Ogni momento e, quindi, ogni età è buona per creare. Tutta la vita dovrebbe essere così. D’accordo sul mutuo appoggio tra genitori, nonni, figli, nipoti. Ma forse è più necessaria la relazione continua disinteressata e costruttiva. L’esperienza e la saggezza (a parte le canizie vituperose manzoniane che mi pare oggi siano in gran parte collocate con il potere) con la voglia di ricerca di chi apprende per crescere non avrebbero mai dovuto essere disgiunte dalla società. Occorrerebbe sottrarsi con un moto di ribellione alle speculazioni sulla salute degli anziani e sui loro ruoli di badanti economici e non solo oppure all’essere relegati ai circoli sociali, alle bocciofile o alle università delle terze e quarte età. Occorre ributtarsi nel mondo senza remore e senza interessi di profitto anche con il rischio di apparire invadenti. Occorre tornare alle città e a tutti i suoi luoghi vivi mescolandosi con tutti gli altri. Questo significherebbe tornare a vivere concretamente e finire di piangersi addosso. Una virtuosa invasione. I farmaci e i rimedi naturali lo stretto necessario, come per tutti del resto. I vecchi sono in uno di quei passaggi del “tutto si trasforma”. Molte cose del corpo cambiano forma. Occorre  capire e assecondare, magari integrando le defaillances con altre fasi di trasformazione più giovani che di fatto servono anche a questo: a compensare le energie dei più agés. L’aspetto economico invece (le pensioni che sopperiscono a disoccupazioni o sottooccupazioni) sono un malaffare di questo sistema mercantile, ancora classista  ed iniquo che spinge a prendere sempre ed ancora da chi avrebbe già dato abbondantemente e comunque dai più poveri che si tende a far restare tali. La tecnologia in tutto questo è uno strumento che non andrebbe esaltato ma  reso semplice per tutti  e sfruttato in modo democratico. Dovrebbe essere solo uno strumento che tale dovrebbe essere considerato e restare tale in modo da non provocare pericolose dipendenze tra i giovani e inadeguatezze incomprensibili tra le generazioni più grandi.

Foto di Jonas Peterson

Sulle costanti che caratterizzano gli (noi) anziani solo brevi chiose: La salute ahimè spesso è uno scotto da pagare per il vissuto precedente. Ne vanno minimizzati gli effetti o in modo naturale  o artificiale finché funziona e c’è ancora voglia di mischiarsi nella vita. D’altra parte anche la solitudine può avere i suoi pregi. Il dolore no. E allora si può decidere di trasformarsi ancora.

Riflettere su tutto e su tutti, ma soprattutto su sé stessi è un buon esercizio vitale. La morte la considero ancora una delle trasformazioni, forse nemmeno l’ultima. Ha il pregio, come diceva Totò, di rendere tutti uguali?

A mio avviso l’essere uguali dipende dalla sommatoria del prima e del dopo. La memoria presso gli altri, dopo la  trasformazione, che a mio avviso erroneamente  (anche per via di certe scarsissime conoscenze scientifiche della nostra essenza più profonda) forse consideriamo l’ultima,  fa la differenza e di fatto non  livella. L’oblio invece livella malamente. Tutto l’armamentario che ci siamo inventati intorno a questa trasformazione, dalle religioni, ai riti, agli usi e costumi, agli arredi fissi e mobili (!) contribuiscono a farne un passaggio da temere. Le sovrastrutture spesso diventano perniciosamente strutture. Credo sia anche così. Amèn

Un piccolo ma non secondario post scriptum per dire di pensare al futuro capendo finalmente che, per quando la maggior parte di noi trapasserà, bisognerà aver già pensato che non saranno le filiazioni dei giovani di oggi e di domani a sostituirci per il lavoro, la cultura e tutto il resto. Infatti la cosa comporterebbe un lasso di tempo di decenni, e saranno i tanto bistrattati migranti a colmare il gap demografico come del resto è sempre avvenuto nei paesi nascenti o morenti.