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Gli Elfi di Cagliari tra le avanguardie dell’educazione diffusa

Nell’articolo, l’ultimo in ordine di tempo con una trattazione completa, che raccontava ai cugini francesi, sulla rivista Le Télémaque, l’esperienza italiana dell’educazione diffusa e della città educante, incolpevolmente, per tempistica e tempestività di informazioni, mancava la citazione-insieme a quelle di Bimbisvegli di Asti, dell’Officina del Fare e del Sapere di Gubbio,della Scuola nel Bosco a Torino, di Fuoriclasse in Movimento di Save the Children e del NABA di Milano-della geniale esperienza della Scuola Elfica Interetnica presso l’I.C. Satta-Spano-De Amicis di Cagliari, che è giunta da poco, tra l’altro, a condividere un vero e proprio Patto di Corresponsabilità tra scuola, famiglia e quindi territorio, anche nella scuola primaria, con riferimenti espliciti all’idea di educazione diffusa.

Ecco, qui di seguito, il racconto quasi in diretta delle maestre e mentori che ho potuto anche incontrare di recente, per una fortunata coincidenza, proprio vicino alla loro “base”- protagoniste di questo eccezionale progetto.

Le maestre mentori della Scuola Elfica Interetnica con uno dei promotori (nel 2017 insieme a Paolo Mottana) dell’Educazione Diffusa.

La scuola elfica, una scuola oltre le mura.

Maestra Cicci Della Calce.

Nel cuore della città di Cagliari, dove i quartieri Marina e Stampace si incontrano, sorge la Scuola Satta. L’edificio, risalente al 1904, è imponente, austero, non si può guardarlo per intero senza volgere lo sguardo al cielo. Dietro le finestre, il suo cuore che batte, le tante generazioni di studenti che da più di un secolo popolano le sue aule. Un pezzo di quel cuore è la scuola dell’infanzia, istituita ventitre anni fa, che ospita più di centocinquanta bambini, dai tre ai sei anni, di diverse etnie, un preziosissimo mosaico frutto della politica di inclusione che la scuola porta avanti felicemente da decenni. È in questo variopinto contesto che è nata e vive la Scuola elfica per opera di un manipolo di maestre eroiche, di cui faccio orgogliosamente parte, artefici di una proposta rivoluzionaria: portare la scuola fuori dalle aule, a contatto con la vita di ogni giorno nella convinzione che la società più che gli edifici scolastici sia l’ambiente adatto per l’apprendimento, che le esperienze debbano essere ricche, intense e appassionanti e il più possibile trovare compimento nella realtà. 

Il quartiere educante

L’inizio di questa meravigliosa avventura risale a cinque anni fa, quando, ispirandoci ai nuovi modelli educativi che si stanno diffondendo in tutta Europa e a seguito di un accordo con l’associazione Punti di vista, partecipammo al progetto Scuola degli elfi (da qui il nome Scuola elfica) affiancandoci in otto uscite didattiche sul territorio. Per la prima volta, visitando parchi, boschi e spiagge, abbiamo sperimentato la didattica in natura e i benefici di fare scuola all’aperto, per la prima volta abbiamo assaporato il piacere di fare scuola oltre le mura vivendo il mondo e non guardandolo da dietro i vetri delle finestre delle nostre aule, per la prima volta ci è sembrato di aver realmente investito sulla felicità dei nostri piccoli. Dall’anno scolastico successivo, questa esperienza è diventata sistematica.

La vendemmia

Abbiamo creato un raccordo col territorio, convenzioni con orti e parchi; accordi con enti pubblici, privati e aziende; abbiamo stipulato un patto con le famiglie che ci hanno garantito il loro pieno sostegno e stanno contribuendo in maniera fondamentale alla realizzazione di questo progetto: portare la scuola fuori dalle aule e dentro la società, rendendo i nostri piccoli alunni protagonisti attivi del proprio apprendimento, soggetti che osservano, che contribuiscono, che partecipano, che offrono la loro creatività, la loro intelligenza e la loro fantasia per migliorare la vita sociale, che la colorano, la impregnano della loro vivacità e del loro colore, della loro sensibilità e della loro freschezza e spontaneità.

Il Portale

La scuola elfica è dunque un progetto di “scuola statale diffusa” che si pone quale alternativa all’istituzione scolastica tradizionale. All’apprendimento della scuola d’aula, mira ad affiancare un apprendimento realizzato con esperienze concrete da rielaborare e condividere rimettendo bambini e bambine in circolazione nella società che, a sua volta, assume in maniera diffusa il suo ruolo educativo e formativo. La scuola elfica aiuta i bambini  a trovare nel quartiere, nel territorio e nella città i luoghi, le opportunità, le attività nelle quali partecipare attivamente per offrire il proprio contributo alla società trasformando il territorio in una grande risorsa.

La strada

Il progetto nasce altresì dal desiderio di poter far vivere i benefici del vivere in natura, valorizzando tali esperienze in qualità di momenti di crescita personale e di gruppo, ricchi di concetti e metafore riconducibili alle tematiche e agli argomenti svolti in sezione attraverso la didattica esperienziale all’aria aperta, una metodica capace di coadiuvare e valorizzare i programmi tradizionali della scuola. Grazie alla grande ricchezza di stimoli e sensazioni, essere educati nella natura è fonte di innumerevoli benefici per i bambini, sia dal punto di vista fisico sia dello sviluppo cognitivo e psicologico. Ma la scuola elfica si gioca anche dentro le aule, ambienti  accoglienti, caldi, colorati che abbiamo adattato ai corpi dinamici dei bambini, una base dove riunirsi per partire, per poi rivedersi per condividere, rielaborare e approfondire, sono le nostre tane, quelle in cui ci rifugiamo, riflettiamo, ci sentiamo protetti, perché “l’elfitudine” non è solo un modo alternativo di fare scuola, è una filosofia, un modo di intendere l’educazione e la formazione dei bambini che mira a creare piccoli cittadini autonomi, che  offre  ai  bambini  la  possibilità  di confrontarsi  con  il  mondo  circostante, permette loro di acquisire maggior responsabilità e la possibilità di conoscere meglio sé stessi.  

La base

Attraverso   l’ampliamento del  raggio  delle  proprie  attività,  i bambini possono sperimentare contesti relazionali nuovi e sono  sempre chiamati a dare prova di sé e delle proprie abilità e competenze e del proprio livello di autonomia. E’ a partire dalla rinnovata presenza dei bambini nei nostri spazi comuni, e non più solo confinati in luoghi fittizi e separati, che il mondo può diventare di nuovo organico, affettivo, a misura di tutti. Attraverso il progetto elfico, la scuola finalmente esce dall’aula, entra in società per far parte di una vera comunità educante.Il ruolo di noi maestre è quello di osservatrici che, quando serve, intervengono  come mediatrici e accompagnatrici che mettono a disposizione dei bambini le informazioni e le esperienze che possiedono. Siamo  “basi sicure”, un riferimento a cui tornare e a cui rivolgersi quando i bambini ne hanno bisogno. Il modo di interagire con i bambini non può quindi essere direttivo, ma deve instaurare un dialogo continuo in cui una parte impara dall’altra. 

Il Castello

E i risultati? Li vedi dagli occhi dei bambini, dall’entusiasmo per un’esperienza nuova, dalla gioia per una nuova conquista; li vedi dagli sguardi dei genitori che ti affidano con fiducia il loro bene più prezioso in virtù di quel patto sotteso che la scuola elfica esige, di quella condivisione di intenti, in quel rispetto dei ruoli equamente importanti per la crescita armonica dei nostri bimbi. Questa è la nostra scommessa, ciò per cui lottiamo ogni giorno nella perfetta convinzione che la scuola elfica stia fornendo un validissimo contributo alla FIL (felicità intera lorda).

L’ Orto Botanico

Maestra Stefania (Stefania Piras): Ho modificato molte volte il mio modo di insegnare, ma la svolta maggiore è avvenuta cinque anni fa, quando nella scuola Satta abbiamo iniziato, in maniera sperimentale, l’avventura elfica e  ci siamo cimentati in una modalità differente di fare scuola.All’inizio non è stato facile. L’abitudine ad avere tutto esattamente sotto controllo è dura a morire. Poi in realtà ho scoperto che, con i dovuti modi, condurre i bambini nelle loro esperienze, lasciandogli il giusto spazio, è la carta vincente. Sanno sorprenderci, se diamo loro fiducia, se li rendiamo indipendenti, e in grado di gestire i propri bisogni e le proprie esigenze. Ho imparato a  lasciare ai bimbi la libertà di provare, di osare, stando distante, ma non troppo, vicina, ma non troppo, presente, ma non troppo. Ed è stato un successo. Anche nella didattica ho cambiato atteggiamenti: via le schede e i lavori preconfezionati, spazio aperto alla creatività, indirizzando dove occorre, e dando spunti, appassionando e interessando, scoprendo che ai bambini si può veramente insegnare di tutto, se si insegna divertendo. 

Simo, Maestra felice (Simona Buzzi): La scuola elfica è un mondo. Un mondo di colori, di curiosità, di creatività, di scoperta, ma soprattutto di stupore. La scuola elfica è  libertà di pensiero e di azione, di consapevolezza del proprio corpo, dei nostri limiti e delle nostre capacità. Ogni esperienza elfica rivoluziona il nostro modo di fare scuola, sia fuori che dentro le mura di un ambiente scolastico, perché non segna una strada da seguire, ma accompagna i bambini e le maestre nel meraviglioso viaggio della vita. Non sei elfico solo a scuola, ma in ogni scelta del quotidiano, contagi chi ti sta vicino e non puoi più tornare indietro, perché senti di aver fatto la scelta giusta per te e per i tuoi alunni. La scuola elfica è fortemente consigliata, ma, attenzione, dà dipendenza!

Una bellissima storia di affinità, quasi contemporanea all’uscita del Manifesto dell’educazione diffusa, che coinvolge diversi luoghi della città dentro e fuori di essa, come ad esempio l’Orto Botanico dell’Università di Cagliari o le botteghe, i musei, i. monumenti, i laboratori artistici.

Gli Elfi nei pressi della loro “base” vicino alla Piazza del Carmine

Dalla scuola dell’infanzia dell’Istituto Comprensivo Satta-Spano-De Amicis l’educazione esperienziale, come già detto all’inizio dell’articolo, si sta affacciando anche al segmento della primaria e si gioverà di un apposito patto già sottoscritto tra scuola e famiglie di cui vi riporto dei brani significativi:

  •  Promuovere e attuare scelte metodologiche alternative a quelle classiche attraverso pratiche di educazione diffusa con esperienze concrete di vita reale
  • Scoprire e valorizzare talenti e abilità di ciascuno studente
  •  Sostenere le scelte metodologiche di educazione diffusa con un’informativa sistematica e puntuale, attraverso una comunicazione diretta e con l’utilizzo di tutti i canali istituzionali
  • Realizzare passeggiate cognitive alla scoperta di quartieri, strade, luoghi naturali per ripensare, riprogettare e valorizzare il territorio, attraverso la conoscenza dello stesso, per tornare a prendersene cura e proporre eventuali suggerimenti per renderlo migliore, a partire dalle osservazioni e dalle analisi di bambini e bambine
  •  Creare connessioni e coinvolgere dinamicamente la comunità nel processo educativo, rendendola parte viva, attiva e collaborativa
  •  Far riscoprire la bellezza dello stare insieme collaborando per un fine comune.
  •  Favorire percorsi che permettano ai corpi dei bambini di muoversi autonomamente in spazi ampi e diversi dalle aule o dai giardini/cortili scolastici, favorendo il movimento per migliorare la stima di sé, controllare le emozioni e scaricare le tensioni
  •  Dedicare parte dei percorsi di educazione diffusa alle emozioni, alle relazioni, all’introspezione che promuova l’emersione dei sentimenti profondi dei bambini
  •  Favorire esperienze di cittadinanza attiva e solidale
  • Documentare il percorso con tutti gli strumenti possibili: studi scientifici, comunità virtuali, prodotti audiovisivi in modo che siano consultabili da altre scuole e città

I luoghi della città e del territorio teatri delle ricorrenti uscite dalla “base” sono quelli delle esperienze educative, anche incidentali, oltre che organizzate senza rigidezze. L’orto botanico, l’azienda agricola, la bottega, la piazza, la strada, la spiaggia. La natura, gli spazi urbani, gli edifici emergenti sono le scene dove si svolgono le ricerche, le scoperte attraverso le attività non in modo occasionale ma continuo e integrato in tutto il percorso educativo. La vita caratterizza la pedagogia stessa e in qualche modo la supera, come direbbe Colin Ward, con l’esperienza prima che con l’astrazione, provocando gli chocs educativi che inducono curiosità, osservazione, ritenzione e solido apprendimento. Questi bambini sicuramente avranno “anticorpi” potenti ed efficaci per resistere da ragazzi e adolescenti anche a certe perniciose influenze presenti durante il loro percorso scolastico futuro.

Durante i nostri incontri di formazione siamo venuti a conoscenza di tante esperienze fuori dal coro, magari più timide ma da ritenere comunque decisamente affini quando non esplicitamente ispirate all’educazione diffusa. Far conoscere e diffondere quanto più possibile queste esperienze sparse per l’Italia e a volte nascoste al grande pubblico e farle dialogare tra loro è di vitale importanza per sensibilizzare le persone e i gruppi verso un’idea sicuramente più libera ed efficace di educazione, anche allo scopo di organizzare, dopo i tanti incontri in giro per l’Italia, nuovi eventi ricchi di testimonianze e racconti approfittando anche dell’imminente uscita di un testo sul Sistema dell’Educazione Diffusa.

Tutte le iniziative citate rappresentano infatti le eccezionali avanguardie di un progetto che varrebbe la pena mettere in rete ed estendere per quanto possibile in forma sperimentale nella cosiddetta scuola pubblica, utilizzando anche le strade offerte dalle norme poco e malamente utilizzate sull’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole nella loro attuale configurazione sistemica. Un enorme grazie dunque ai territori educativi che si sono già coraggiosamente messi in gioco!

L’imago storica dell’educazione diffusa (2016)

20 Febbraio 2023

A cura di Giuseppe Campagnoli

con il preziosissimo contributo delle maestre “elfiche”: Cicci Della Calce, Simona Buzzi e Stefania Piras

La scuola pubblica si chiude ancor di più su sé stessa.

Non tutti i mali vengono per nuocere.

Sappiamo sicuramente cosa fare.

I segnali non sono affatto confortanti. La scuola pubblica, ora non più pubblica pare, ma solo meritocratica, in mano alla reazione di estrema destra (il peggio infatti non è mai morto) oltre a mettere paletti antidemocratici su diritti e libertà di insegnamento, potrebbe anche precludere più di oggi l’autonomia e la libertà di sperimentare in campo educativo e rafforzare i legami con la vita reale, i territori e la politica che è anch’essa un diritto in educazione. In tempo reale giunge la notizia terrifica dell’istituzione del Ministero dell’Istruzione e del Merito: addestrare e classificare, dividere per censo, fortuna e dispari opportunità. Il timore si fa grottesca e pericolosa realtà.

Senza contare le idee mercantili rispetto all’istruzione che diventerebbe una orribile fiera, peggio di oggi, che andrebbe dalle paritarie, alle parentali alle sofistiche, spiritiste e occultiste, alle statali concesse di fatto al privato in una esasperazione di liberalizzazione educativa.

Cosa potremmo fare allora noi dell’educazione diffusa e della città educante per anticipare il colpo se dovesse essere preclusa la strada della sperimentazione? Un’idea, che solo a prima vista parrebbe un po’ utopistica, non potrebbe essere quella di costruire percorsi autonomi, dal basso sia dentro che fuori dalla cosiddetta scuola pubblica (come ad esempio la scuola degli Elfi di Cagliari, o quella dell’Officina del fare e del sapere di Gubbio ) pronti un giorno a rifondare insieme una società educante, in forma di vera cooperazione sociale diffusa e numerosa? Una immensa rete carbonara dell’educazione che farebbe tanti splendidi virtuosi danni pedagogici !!

Tutto ciò che si prefigura nel progetto di educazione diffusa, nell’ipotesi di una involuzione drammatica del pubblico, non potrebbe realizzarsi allora in autonomia nella società senza alcuna iniziale implicazione statale ma con una forte connotazione collettiva? I costi in una accezione di mutuo soccorso non sarebbero poi tanto superiori a quelli che ahinoi le famiglie comunque sopportano nel complesso per la scuola pubblica (trasporti, contributi, libri e sussidi, attrezzature, tasse più o meno dirette…) mentre una rete di luoghi scelti ad hoc, insieme a tempi e modi radicalmente diversi, potrebbe anche distribuire e ridurre i costi che oggi gravano sull’edilizia e l’organizzazione scolastica fatta di ruderi e gabbie dorate.

Non si potrebbe per intanto contestualizzare l’idea di educazione diffusa in questa eventualità avviando quando possibile il percorso di cui ha parlato Paolo Mottana come annuncio di un vero e proprio sistema educativo, nell’ultimo seminario di settembre a Rimini ? Insegnanti, mentori, esperti e risorse materiali sarebbero ben assorbibili in un’ampia accezione cooperativa.

Parallelamente continuerebbe la formazione destinata a docenti, associazioni, amministratori locali, per proseguire comunque e malgrado tutto l’azione di virtuosa infiltrazione con esperimenti estemporanei o sperimentazioni formali negli ambiti educativi pubblici possibili e praticabili. L’educazione diffusa avviata in forma cooperativa non sarebbe così il rimedio ad una eventuale preclusione di fatto della scuola pubblica a qualsiasi radicale innovazione che sappiamo invece quanto mai urgente, da tempo? È la storia ironica e didascalica della Commedia della città educante che potrebbe farsi realtà unendo, integrando e coordinando per affinità anche tutte quelle esperienze impegnate nella stessa direzione ma oggi separate perché autoreferenziali e sparpagliate anche idealmente. Mai come ora non sarebbe indispensabile unire le energie che operano di fatto in una direzione compatibile con l’idea di educazione diffusa? In tempi migliori si potrebbe pensare di far rientrare nel pubblico statale ,ormai svuotato a causa del nuovo classismo , il percorso così sperimentalmente collaudato e provato sul campo da un a nuova rete di esperienze impegnate in questa sottile rivoluzione in campo educativo. Al tempo stesso si potranno mantenere ed aumentare quelle esperienze che dovessero ancora  «passare » nel pubblico disobbediente o distratto. Una strada lunga ma forse per certi aspetti di questi tempi obbligata ma sicuramente più appassionante nella sua caratteristica di sottile sommossa educativa, quasi un 68 in revival per aprire diffusamente occhi e menti non solo di bambini e ragazzi. Chi aderì e continua ad aderire anche con i fatti al Manifesto dell’educazione diffusa non potrebbe coinvolgersi in questa proposta in modo attivo a partire dai propri luoghi?

Si tratta di un’idea forse balzana, forsanche di una provocazione, seppure a mio parere non tanto peregrina, che metto sul tavolo per un dibattito costruttivo tra quanti hanno a cuore una cambiamento radicale in educazione come prodromo per tutto il resto, a partire naturalmente dal Manifesto dell’educazione diffusa e da tutti i capitoli successivi.

Intanto procede il lavoro di costruzione del progetto di un Sistema dell‘educazione diffusa, al di là delle effimere prove parziali di applicazione di una nuova teoria pedagogica tra le tante. Per primavera è programmata, come annunciato sui social, l‘uscita del libro di Paolo Mottana “Il sistema dell‘educazione diffusa“ edito da Dissensi.

Prove di educazione diffusa

Gli incontri del 5 e 6 febbraio scorsi, purtroppo realizzati a distanza per le note problematiche di mobilità, hanno avuto un seguito inaspettato e una partecipazione vivace, entusiasta e proficua in fatto di contributi e di proposte. Molte esperienze virtuose e molte in affinità con l’idea di educazione diffusa non erano note e ci hanno sorpreso per la loro valenza innovativa e sovente perfino rivoluzionaria. Ci siamo lasciati, dopo due giornate intense e appassionanti, con l’intento di proseguire insieme su questa strada fino ad arrivare a contaminare virtuosamente in special modo la scuola pubblica che dovrebbe appartenere a tutta la collettività ma non pare sia così da tempo soprattutto in fatto di educazione essendo essa solo addestrativa, competitiva e classificatoria da qualche secolo. Il brevissimo corto racconta l’essenziale dell’evento.

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