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L’educazione diffusa: molto più di un manifesto politico

L’educazione diffusa potrà salvare la città?

La città si trasforma e cambia con l’educazione.

Forse in extremis ma credo che l’educazione diffusa potrà contribuire a salvare la città. Il volume in uscita la prossima estate sull’architettura della città educante, riedizione ampliata e completa della prova generale pubblicata come assaggio e intitolata “Il disegno della città educante”, fa ben capire come potrebbe trasformarsi una città e bloccare quella perniciosa deriva che è cominciata con la terziarizzazione dei centri storici, con l’espulsione dei suoi abitanti e delle sue nobili e diffuse  attività e con la creazione di periferie sempre più insignificanti e degradate dove insistono brutte scuole, desolate aree sportive, verde incolto e abbandonato, propaggini di aree industriali e artigianali in una desolante ed insalubre commistione. Proprio oggi leggendo su Il Manifesto un articolo dedicato all’ invasione della nuova speculazione residenziale turistica nei centri storici ormai snaturati dalla presenza di mercanti di gadget turistici  e di tipologie abitative sempre più tese a diventare dei veri e propri  alberghi piuttosto che abitazioni di residenti, riflettevo da architetto e uomo di scuola su quanto potrebbe incidere in controtendenza una trasformazione delle parti di città in senso permanentemente educante. Si potrebbe indurre la rinascita di botteghe e laboratori, musei e piccole gallerie, teatri tradizionali o di piazza e di strada, luoghi di musica e arte, biblioteche e librerie oltre che ripopolare quartieri e vie di residenti e abitanti stabili con la sola velleità di ospitare stranieri alla pari e senza fine di lucro e di accogliere per mostrare i propri luoghi  ed educare attraverso di essi. E’ questo che di virtuoso provocherebbe e chiederebbe l’improvviso e continuo sciamare  di bambini e ragazzi, di artisti, di artigiani e anziani, di stranieri e vagabondi, desiderosi di essere finalmente utili con le loro esperienze e i loro saperi attraverso i luoghi ridisegnati e rivisitati di tutta la città fino a trasformare i centri storici e tutte le periferie in un unico centro pulsante senza soluzione di continuità ideale.

La scuola che si trasforma e trasforma la città è un sogno che potrebbe avverarsi, un sogno dove l’unico mercato sarà quello delle piccole e grandi  cose utili alla vita ed al desiderio di conoscenza che è innato in ognuno di noi e che non viene certo soddisfatto trascorrendo ore su un banco ad apprendere nozioni imposte altrove e che in gran parte svaniranno dopo poco tempo per non lasciare alcuna traccia. Il fatto che oggi molte città si stiano trasformando in tante disneyland del turismo e del consumo ha fatto loro perdere qualsiasi valore educativo e anche quella  profonda geosignificanza che avevano avuto per secoli. La cultura e il sapere oggi vengono anche fisicamente periferizzati a meno che i loro antichi luoghi non possano essere tesaurizzati nel mercato del profitto a tutti i costi. Restituiamo i centri alle case popolari, alle botteghe, agli studenti, agli anziani, ai viaggiatori senza scopo di lucro e facciamo sparire le periferie cominciando da lì l’invasione benefica della campagna verso la città, dei margini verso il nucleo. Si può fare.

Si può fare usando anche  con coraggio gli strumenti dell’esproprio e della confisca per pubblica utilità dei luoghi e dei beni che sono frutto di speculazione, di accumulo, di latrocinio, di evasione fiscale. Se è stato ed è possibile per le grandi spesso inutili opere pubbliche e brutte e pericolose infrastrutture perché non si potrebbe fare per le case, per i monumenti, per gli edifici con valenza pubblica e sociale, per i manufatti abbandonati, per tutte le architetture e i luoghi finora usati per la speculazione ed il mercimonio. Una città a misura di bambino e di umanità è possibile anche attraverso l’educazione che cominciasse a permearla proiettandovi saperi e passioni, voglia di ricerca e di osservazione, di dialogo, di accoglienza, di sete di sapere incidentale e per questo assai più utile di quello obbligato o subdolamente indotto. Sarebbe anche l’occasione grazie alla quale  la cultura, il turismo consapevole ed attivo, il verde e l’agricoltura potrebbero rinascere a vita nuova senza l’assillo quotidiano del profitto. Tutto ciò potrebbe indurre dal basso anche l’inversione dell’attuale sistema economico basato sulle diseguaglianze, sulle nuove/antiche classi sociali, sulle guerre del mercato e del possesso che vuole egemonizzare tutto, dalla educazione alla famiglia, dall’ambiente alla cultura e al tempo libero.

Ritorno alla mia citazione di qualche tempo fa intorno ad una nuova città per un nuovo  medioevo   già storicamente da non leggere come così retrogrado  se è vero che aveva già concepito i liberi comuni, la città che nasce e cresce senza architetti, gli spazi liberi e ospitali oltre che aperti alla cultura. ”Una costruzione medievale non ci appare come lo sforzo solitario nel quale migliaia di schiavi svolgevano il compito assegnatogli dall’immaginazione di un solo uomo: tutta la città vi contribuiva. La torre campanaria si elevava sopra alla costruzione, grandiosa in sé, e in essa pulsava la vita della città”. (Pëtr Kropotkin). Una città così concepita diventerebbe assolutamente inclusiva. Vi sarebbero spostamenti virtuosi dalle periferie destinate alla riqualificazione o alla sana demolizione verso i centri storici dove rinascerebbero mille piccole attività sostenibili sia dal punto di vista sociale che economico ed ecologico, dove rinascerebbero la cultura, l’educazione, il verde, e un turismo non mercantile per viaggiatori saggi e consapevoli.  Gli educatori, i politici liberi e gli architetti dovrebbero solidalmente avviare questo percorso partendo magari da piccole realtà ed esperienze per estendere l’idea alle grandi città ed alle aree metropolitane che si risanerebbero così ridotte e ridimensionate in una specie di “divisione” virtuosa in tante moderne new towns che moltiplicassero i centri facendo evaporare ghetti e periferie accogliendo l’invasione di prati, radure e giardini. E’ sempre stata solo una meschina questione economica. Sarebbe ora di cambiare e la strada è già indicata.

Giuseppe Campagnoli 3 Aprile 2019

Una risata diffusa

Sarà la risata della gaia educazione e della controeducazione, atto finale di un percorso lungo ma deciso che potrà toglierci di torno quest’aria mefitica che si proclama nè di destra nè di sinistra ma è nelle parole, nei contratti e nei primi atti decisamente di stampo nazional social-liberista. Lentamente occorrerà, dal basso, con lo stillicidio di una disobbedienza lenta e quotidiana, con la pratica di una educazione contro, diffusa in tutto il territorio e tra tutti i cittadini di ogni età recuperare i danni di un neoanalfabetismo culturale, politico, relazionale, affettivo, di natura e di vita,  anch’esso diffuso e cresciuto nelle generazioni tra gli anni ’60 e oggi. La politica tradizionale, mercantile, capitalista ed egoista, quella che ha portato anche gli attuali governanti al potere finirà, eccome se finirà, anche se tra innumerevoli ulteriori sofferenze soprattutto degli incolpevoli, degli ingenui, dei deboli e degli stranieri. Finirà. Ma solo dopo un’azione controeducativa “gaiamente” insistente e felicemente ostinata.

Proseguiamo per questo sulla nostra strada di una scuola senza mura e senza muri. Chi ci ama ci segua e non se ne pentirà, come credo non se ne pentiranno le generazioni future. Tra i nostri fans, da noi e anche all’estero giovani ventenni ed ultrasettantenni, insegnanti, presidi, maestri e famiglie. Se non ci faremo fagocitare o strumentalizzare da certa politica che ci gigioneggia ma agisce in modo decisamente  reazionario riusciremo ad incidere in senso rivoluzionario sulla realtà. Una rivoluzione sottile, pervicace, costante: una gioiosa macchina da guerra educativa per ribaltare i domini burocratici, economici e sociali che non mostrano nessun segno di mutamento, come sosteneva anche Antonio Gramsci.

Il manifesto della educazione diffusa

“Mai più aule tra i muri e studenti che volgono lo sguardo teso alla fuga al di là dei vetri chiusi”

(La Città educante. Manifesto della educazione diffusa, Asterios)

 

L’educazione diffusa è un’alternativa radicale all’istituzione scolastica attuale. È tempo di rimettere bambini e bambine, ragazzi e ragazze in circolazione nella società che, a sua volta, deve assumere in maniera diffusa il suo ruolo educativo e formativo.

La scuola dove ridursi a una base, un portale ove organizzare attività che devono poi realizzarsi nei mondi aperti del reale, tramite un progressivo adeguamento reciproco delle esigenze delle attività pubbliche e private interessate, degli insegnanti e dei ragazzi e bambini stessi.

All’apprendimento chiuso e iperprotettivo della scuola, privo di motivazione e connessione con le realtà si sostituisce progressivamente un apprendimento realizzato con esperienze concrete da rielaborare e condividere. Non più insegnanti di discipline ma educatori, méntori, guide, conduttori capaci di agevolare i percorsi di interconnessione e indurre sempre maggior autonomia e autorganizzazione. I ragazzi e i bambini nel mondo costituiranno una nuova linfa da troppo tempo emarginata e costringeranno la società e il lavoro a ripensarsi, a rallentare e a interrogarsi.

È un atto politico portare questo modello nella società. È un impegno, una scommessa e una prospettiva di vita sensata che chiediamo di sottoscrivere impegnandosi a divulgare l’idea e il progetto per trasformarlo in esperienze diffuse nel territorio.

L’educazione diffusa pone al centro della vita educativa l’esperienza autentica, quella che mobilita tutti i sensi ma soprattutto la forza che li accende, la passione.

L’educazione diffusa ribalta l’idea che la mente possa imparare separatamente dal corpo, è attraverso il corpo, i suoi sensi, il suo impegno, che si verifica un vero apprendimento duraturo.

L’educazione diffusa libera i bambini e i ragazzi, le bambine e le ragazze, dal giogo della prigionia scolastica: li aiuta a trovare nel quartiere, nel territorio e nella città i luoghi, le opportunità, le attività nelle quali partecipare attivamente per offrire il proprio contributo alla società.

L’educazione diffusa è un reticolo in continua espansione di focolai di attività reali nelle quali i più giovani, al di fuori della scuola, esplorano, osservano, contribuiscono, si cimentano, danno vita a situazioni inedite, aiutano, si esprimono e imparano da tutti e da tutte, così come insegnano a tutti e a tutte.

L’educazione diffusa sradica la malapianta delle valutazioni insensate per mezzo di attività reali delle quali correggere sul campo eventuali cadute, imperfezioni, fallimenti e delle quali solo il raggiungimento e il processo valgono come documenti vivi per poter stabilire se ciò che si è fatto è valido e ripetibile o da rivedere e correggibile

L’educazione diffusa vede gli insegnanti mutare in mèntori, educatori, accompagnatori, guide indiane, sostenitori, trainer, organizzatori di campi d’esperienza nel mondo reale e non nel chiuso di aule panottiche dove l’apprendimento marcisce e i corpi avvizziscono.

L’educazione diffusa chiama tutto il corpo sociale a rendersi disponibile per insegnare qualcosa ai suoi più piccoli e giovani: ognuno dovrebbe poter regalare con piacere un poco della sua esperienza, condividendo finalmente la vita con chi sta crescendo e imparando da loro a riguardare il mondo come non è più capace di fare.

L’educazione diffusa trasforma il territorio in una grande risorsa di apprendimento, di scambio, di legame, di cimento, di invenzione societaria, di sperimentazione, al di fuori di ogni logica di mercato, di adattamento passivo, di competizione o di guadagno monetario.

Nell’educazione diffusa si assiste alla costruzione di un tessuto sociale solidale, responsabile, finalmente attento a ciò che vi accade a partire dal ruolo inedito che bambini e adolescenti tornano a svolgervi come attori a pieno titolo, come soggetti portatori di un’inconfondibile identità planetaria.

Per iniziare a sperimentare l’educazione diffusa occorrono un gruppo di genitori motivati, di insegnanti appassionati e possibilmente un dirigente didattico coraggioso che abbiano voglia di vedere di nuovo allievi vivi che gioiscono dell’imparare e di essere riconosciuti come soggetti a pieno titolo nel mondo.

Con l’educazione diffusa ognuno viene riconosciuto come persona umana nelle sue caratteristiche costitutive di unicità, irripetibilità, inesauribilità e reciprocità. L’educazione non deve fabbricare individui conformisti, ma risvegliare persone capaci di vivere ed impegnarsi: deve essere totale non totalitaria, vincendo una falsa idea di neutralità scolastica, indifferenza educativa, e disimpegno. L’educazione diffusa promuove l’apprendistato della libertà contro ogni monopolio (statale, scolastico, familiare, religioso, aziendale).

 

Per aderire al Manifesto scrivete nome, cognome, città di residenza, via email: info@comune-info.net

Giuseppe Campagnoli

25 Gennaio 2019

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