Fascismo, neofascismo e postfascismo.

Non lasciamoci fregare. Il postfascismo può essere decisamente peggio del fascismo. Si aggiorna in senso deteriore dissimulando una ideologia antidemocratica e antipopolare più subdola e gregaria del liberismo nazional popolare.

Il premier italiano Giorgia Meloni è “neo” o “post”-fascista?

Dovremmo andare verso una società “de-globalizzata”? Esistono le “neo-femministe”? Se le parole non sono neutre, questi piccoli strumenti sintattici che sono i prefissi, che occupano un posto dominante nella creazione del lessico della lingua, non derogano alla regola. “Due terzi dei neologismi oggi si formano sulla base di prefissi, spiega Christophe Gérard, linguista dell’Università di Strasburgo. Un predominio netto che probabilmente spiega perché i politici vi ricorrono in maniera massiccia. La pronuncia di un termine può investirlo di una carica politica che prevale sulla sua originaria neutralità; il dibattito semantico sulla vittoria della Meloni alle legislative del 26 settembre lo illustra bene. Non ha mancato di irritare, come la giornalista conservatrice Gabrielle Cluzel che su Twitter ha scherzato: “Neofascista, postfascista… possiamo inventarne molti altri: parafascista, perifascista, subfascista, criptofascista…”. La maggior parte dei media e dei politici ha optato per l’etichetta di “post-fascista”, riconoscendone le radici ed evitando la trappola dell’anacronismo. ““Néo” evoca semplicemente una ripresa nel presente, mentre “post” induce un aggiornamento per distanza, un sorpasso che permette di disinnescare ogni critica, analizza Bruno Cautrès, ricercatore del Centro Ricerche Politiche di Sciences-Po (Cevipof) e specialista in comportamento politico. La vicinanza ideologica viene così preservata, pur segnando un taglio netto con il passato. Se il “postfascismo” ha dato luogo a divergenze concettuali e ideologiche, gli specialisti concordano sull’idea di un riconoscimento dell’eredità fascista, ma senza la volontà di rompere con le istituzioni democratiche – insomma, una moderazione dell’autoritarismo per aprire un dialogo con le forze della destra e integrarsi nel gioco politico.“Orientamento politico consistente nel superare parzialmente o totalmente un passato fascista o neofascista senza tuttavia rinnegarlo”, così definisce il dizionario italiano Garzanti.Questa idea di superamento, di rottura con il passato, non è priva di problemi per il filosofo Michaël Foessel , per i quali gli echi tra ieri e oggi sono troppo inquietanti per considerare che viviamo per sempre dopo il fascismo. “Il “post” implica una novità che inscrive il presente in un’esplicita negazione del passato”, ha ricordato sulle pagine di Liberazione. È curioso evocarlo per caratterizzare un partito che non si è nemmeno preso la briga di modificare lo striscione che gli fa da logo e che tutti sanno essere il segno storico dell’adesione al Duce di coloro che, naturalmente, vennero dopo il regime fascista, ma nella speranza di ripristinarne i principi.

Da non sottovalutare, in questo quadro, c’è la tolleranza o quanto meno l’assenza colpevole di certa sinistra liberaleggiante che forse fa già parte di quell’altra faccia del postfascismo rimeditato negli effetti che non è certo nostalgia ma sicuramente terribile attualità neoliberista come ben scrive Paolo Mottana:

Due righe sul fascismo: oggi, come è evidente, la parola fascismo, ben oltre le sue origine storiche, individua una lista di comportamenti che, genericamente ma correttamente, definiamo fascisti: autoritarismo, violenza verbale e fisica, imposizione, giudizi sommari, crudeltà gratuita, condanne per le idee ecc. ecc. Quindi oggi vorrei celebrare non solo la Liberazione con la L maiuscola, quella che conosciamo perché ci è stata tramandata dai nostri vecchi e che ci parla di libertà da sofferenze inaudite ma anche una liberazione minore, da tutti i fascismi che infettano il mondo: quelli che ci imprigionano in rapporti violenti, quelli del lavoro dove capi e capetti si permettono di insultare e vessare gratuitamente perché hanno uno straccio di potere, dove siamo giudicati in base a invidie e ritorsioni, quelli del tempo che ci viene rubato o castrato, quelli delle deportazioni (quella scolastica o lavorativa per esempio), quando accettiamo di subire ogni tipo di potere sulla nostra vita senza ribellarci, o ribellandoci e venendo immediatamente schiacciati da sanzioni di ogni genere, di quelli che ci indicano cosa fare, come impiegare il nostro tempo residuo e non ci rendiamo più conto che non sappiamo più fare una scelta autonoma perché tutte le nostre scelte sono già predecise altrove (sulle vacanze, sul tempo libero, persino sul riposo e sul fare l’amore), quelli della coppia talvolta, della famiglia troppo spesso, delle code in auto, degli ammassamenti sulle metropolitane, dei centri commerciali, delle spiagge in batteria come polli a cuocere alla griglia, dei programmi televisivi a senso unico, di tutti i fanatismi, buoni o cattivi, religiosi o laici.Vorrei celebrare la liberazione dai fascismi che fanno della nostra vita una vita da schiavi, da sottomessi, laddove spesso siamo noi stessi a non saper leggere il fascismo interno che noi stessi ci rifiliamo pur di non vivere l’ebbrezza spaesante di una vera liberazione.

Fascismo e fascismi dunque, a braccetto insieme e assai più pericolosi e criminali se ben propagandati da una avanzante occupazione culturale multiforme, subdola, a volte sfacciatamente palese e, a volte, anche pericolosamente subliminale.

Giuseppe Campagnoli Novembre 2023




La scuola pubblica si chiude ancor di più su sé stessa.

Non tutti i mali vengono per nuocere.

Sappiamo sicuramente cosa fare.

I segnali non sono affatto confortanti. La scuola pubblica, ora non più pubblica pare, ma solo meritocratica, in mano alla reazione di estrema destra (il peggio infatti non è mai morto) oltre a mettere paletti antidemocratici su diritti e libertà di insegnamento, potrebbe anche precludere più di oggi l’autonomia e la libertà di sperimentare in campo educativo e rafforzare i legami con la vita reale, i territori e la politica che è anch’essa un diritto in educazione. In tempo reale giunge la notizia terrifica dell’istituzione del Ministero dell’Istruzione e del Merito: addestrare e classificare, dividere per censo, fortuna e dispari opportunità. Il timore si fa grottesca e pericolosa realtà.

Senza contare le idee mercantili rispetto all’istruzione che diventerebbe una orribile fiera, peggio di oggi, che andrebbe dalle paritarie, alle parentali alle sofistiche, spiritiste e occultiste, alle statali concesse di fatto al privato in una esasperazione di liberalizzazione educativa.

Cosa potremmo fare allora noi dell’educazione diffusa e della città educante per anticipare il colpo se dovesse essere preclusa la strada della sperimentazione? Un’idea, che solo a prima vista parrebbe un po’ utopistica, non potrebbe essere quella di costruire percorsi autonomi, dal basso sia dentro che fuori dalla cosiddetta scuola pubblica (come ad esempio la scuola degli Elfi di Cagliari, o quella dell’Officina del fare e del sapere di Gubbio ) pronti un giorno a rifondare insieme una società educante, in forma di vera cooperazione sociale diffusa e numerosa? Una immensa rete carbonara dell’educazione che farebbe tanti splendidi virtuosi danni pedagogici !!

Tutto ciò che si prefigura nel progetto di educazione diffusa, nell’ipotesi di una involuzione drammatica del pubblico, non potrebbe realizzarsi allora in autonomia nella società senza alcuna iniziale implicazione statale ma con una forte connotazione collettiva? I costi in una accezione di mutuo soccorso non sarebbero poi tanto superiori a quelli che ahinoi le famiglie comunque sopportano nel complesso per la scuola pubblica (trasporti, contributi, libri e sussidi, attrezzature, tasse più o meno dirette…) mentre una rete di luoghi scelti ad hoc, insieme a tempi e modi radicalmente diversi, potrebbe anche distribuire e ridurre i costi che oggi gravano sull’edilizia e l’organizzazione scolastica fatta di ruderi e gabbie dorate.

Non si potrebbe per intanto contestualizzare l’idea di educazione diffusa in questa eventualità avviando quando possibile il percorso di cui ha parlato Paolo Mottana come annuncio di un vero e proprio sistema educativo, nell’ultimo seminario di settembre a Rimini ? Insegnanti, mentori, esperti e risorse materiali sarebbero ben assorbibili in un’ampia accezione cooperativa.

Parallelamente continuerebbe la formazione destinata a docenti, associazioni, amministratori locali, per proseguire comunque e malgrado tutto l’azione di virtuosa infiltrazione con esperimenti estemporanei o sperimentazioni formali negli ambiti educativi pubblici possibili e praticabili. L’educazione diffusa avviata in forma cooperativa non sarebbe così il rimedio ad una eventuale preclusione di fatto della scuola pubblica a qualsiasi radicale innovazione che sappiamo invece quanto mai urgente, da tempo? È la storia ironica e didascalica della Commedia della città educante che potrebbe farsi realtà unendo, integrando e coordinando per affinità anche tutte quelle esperienze impegnate nella stessa direzione ma oggi separate perché autoreferenziali e sparpagliate anche idealmente. Mai come ora non sarebbe indispensabile unire le energie che operano di fatto in una direzione compatibile con l’idea di educazione diffusa? In tempi migliori si potrebbe pensare di far rientrare nel pubblico statale ,ormai svuotato a causa del nuovo classismo , il percorso così sperimentalmente collaudato e provato sul campo da un a nuova rete di esperienze impegnate in questa sottile rivoluzione in campo educativo. Al tempo stesso si potranno mantenere ed aumentare quelle esperienze che dovessero ancora  «passare » nel pubblico disobbediente o distratto. Una strada lunga ma forse per certi aspetti di questi tempi obbligata ma sicuramente più appassionante nella sua caratteristica di sottile sommossa educativa, quasi un 68 in revival per aprire diffusamente occhi e menti non solo di bambini e ragazzi. Chi aderì e continua ad aderire anche con i fatti al Manifesto dell’educazione diffusa non potrebbe coinvolgersi in questa proposta in modo attivo a partire dai propri luoghi?

Si tratta di un’idea forse balzana, forsanche di una provocazione, seppure a mio parere non tanto peregrina, che metto sul tavolo per un dibattito costruttivo tra quanti hanno a cuore una cambiamento radicale in educazione come prodromo per tutto il resto, a partire naturalmente dal Manifesto dell’educazione diffusa e da tutti i capitoli successivi.

Intanto procede il lavoro di costruzione del progetto di un Sistema dell‘educazione diffusa, al di là delle effimere prove parziali di applicazione di una nuova teoria pedagogica tra le tante. Per primavera è programmata, come annunciato sui social, l‘uscita del libro di Paolo Mottana “Il sistema dell‘educazione diffusa“ edito da Dissensi.




Un manifesto politico

Visti i recenti sviluppi politici italiani che consolidano ahinoi l’idea, già espressa da Giordano Bruno, Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi sullo “stato presente dei costumi degli italiani”, è tempo di rileggere e sottolineare gli aspetti squisitamente politici del “Manifesto dell’educazione diffusa” scritto a quattro mani da Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli nel 2017 e sottoscritto da tanti insegnanti, genitori, pedagogisti, associazioni, che di tanto dibattito e di tanti incontri su e giù per l’ Italia è stato protagonista, provocando anche belle iniziative ed esperimenti suggestivi di controeducazione tuttora in atto. Ad ogni frase c’è un riferimento ad un’ idea di società, di educazione e di città decisamente rivoluzionaria. Mi piace ricordare qui, scorrendo il testo, qualche pensiero che molti hanno condiviso e che aiutano a non equivocare il messaggio profondo del Manifesto stesso.

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“Ma occorre cambiare, capovolgere questo modo carcerario di intendere l’educazione”

“L’energia  che questa popolazione reclusa (i bambini, i ragazzi, gli stranieri, gli anziani..) potrebbe imprimere alla vita sociale è incalcolabile se solo si potesse metterla davvero in moto e non tenerla in scacco, stagnante, incatenata)

“Sulla scia di una discreta organizzazione, in una città, si può cominciare ad immaginare la nuova scuola e la nuova educazione in diverse dimensioni: quella storica e architettonica, quella logistica, quella organizzativa e quella pedagogica e culturale, senza scindere più tra spazi per apprendere, per comunicare,per esibire, per documentare, per vivere.”

“Non si può imparare in luoghi e spazi che incitano alla guerra del competere e alla gerarchia nella forma e nella concezione”

“L’educazione incidentale è il primo riferimento per un nuovo modo di pensare l’educazione”

“La seccante e vana discussione sulla valutazione, sulla verifica, sulle prove, con l’educazione diffusa conoscerà finalmente la sua fine”

“Nessuno sarà inserito in tirocini o apprendistati volti ad essere immessi precocemente in un mercato del lavoro distruttivo e del tutto alieno da ogni finalità di autentico sviluppo e ampliamento delle capacità delle persone..”

“Non c’è bisogno di costruire altre scuole e non c’è neppure bisogno di ricostruire quelle distrutte da eventi naturali o dall’incuria e disonestà dell’uomo. Se la metà delle scuole italiane non si può mettere a norma né ora né mai, l’altra metà è vecchia sia concettualmente che fisicamente. Rincorrere gli adeguamenti e i restauri per tutta la vita di edifici che funzionano solo metà del tempo e sono irrimediabilmente obsoleti anche quando progettati l’altro ieri è folle oltre che antieconomico. Gli spazi dove si fa scuola sono lo specchio di come è il modello di scuola oggi.”

“Ma occorre cambiare, capovolgere questo modo carcerario di intendere l’educazione. Occorre che essi possano tornare ai luoghi da amare, alla città anzitutto, che è un insieme di luoghi per apprendere, cercare, errare (l’errore!) osservare, fare e conservare per condividere, riconoscersi e riconoscere.”

“Fa comodo alle autorità mettere sotto scorta chi si muove in maniera imprevedibile ancora al di fuori del compasso ordinatore dell’ordine del lavoro. Fa comodo a chi li ha messi al mondo sapere che sono sotto protezione, non abbandonati a sé stessi e alle loro pulsioni mobili e variabili, liberandoli dal timore che si avventurino in zone ignote, alla mercé dell’inatteso e del sorprendente. Fa comodo a tutti sapere i bambini e i giovani fuori dal mondo.”

“Basta con l’obbligo, con il sacrificio e con la sottomissione, ogni fatica deve contenere in sé la sua ricompensa, deve essere l’anello di un tracciato di cui si coronano in tempi brevi continue tappe di soddisfacimento.”

“Costringerà a rallentare, a prestare attenzione, a farsi attori di cura, di attenzione, di comunicazione, informazione, orientamento. Interpellerà tutti, mostrando che si può abitare la città come un grande luogo collettivo (e virtuosamente mescolato), di conoscenza, di cultura, di esperienza, di operatività sensata.”

La declinazione fattuale del Manifesto nell'”Educazione diffusa. Istruzioni per l’uso” consiglia e suggerisce strade per realizzare l’educazione diffusa nei contesti reali considerando prioritaria la dimensione  squisitamente pubblica e non privata e familiare dell’educazione in direzione di una intera società educante.

“Superare l’idea della “scuola” come mondo confinato tra mura, distaccato dal resto della realtà e della società, in modo che il bambino e il ragazzo siano messi nelle condizioni di fare esperienze dirette nel mondo, quello vero, di ogni giorno. È la visione, fortemente innovativa, attorno alla quale Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli hanno formulato la loro proposta di educazione diffusa e di città educante. Che non è solo un concetto astratto, tutt’altro. È una logica, pianificabile e organizzabile, una nuova modalità per aprire ai giovani le porte dell’apprendimento e del sapere.
Si viene accompagnati  (sia come genitore, educatore, insegnante o qualsivoglia vocazione si abbia ) attraverso un percorso chiaro e concreto per capire “come si fa” e “con chi si fa” l’educazione diffusa. Per cambiare veramente paradigma educativo, anche da domani. Basta volerlo.”

In poco tempo si potrebbero educare nuove generazioni  al senso critico ed alla libertà di apprendere e di pensare anche partendo dalla realtà  e coinvolgere tutte le altre  generazioni in tutto il territorio  per una rivoluzione sottile che scongiuri il percorrere le  brutte strade che la società per colpa di certa politica sta pericolosamente intraprendendo.

Giuseppe Campagnoli

28 settembre 2022