Si chiude l’evento clou dell’estate italiana. I nostri filmati-girotondo all’interno dell’esposizione mostrano ironicamente e criticamente alcuni aspetti discutibili ed evidenti della kermesse. Hanno anche meritato una menzione al London International Creative Competition. La passerella di multinazionali del cibo, delle griffe varie(spazzatura e non) e del lusso non fa onore al tema dell’esposizione e non vorremmo che la Carta di Milano fosse la solita ipocrita messa a tacere delle proprie coscienze individuali, collettive, politiche e sociali: una specie di globalizzazione del principio di carità opposto a quello di equità sociale mentre la vera azione efficace sarebbe quella di combattere, insieme alla povertà anche la ricchezza e la speculazione che sono spesso all’origine dei mali incombenti sull’umanità: guerre, fame, avversità climatiche, migrazioni forzate. Politici e gestori dell’evento gridano ai quattro venti mediatici i numeri di quello che dovrebbe essere un successo planetario.
Archivi tag: EATALY
La carta di Milano. L’arte dei buoni propositi.
Ecco il testo della Carta di Milano, la carta dei buoni propositi per l’alimentazione nel mondo lanciata all’Expo 2015 di Milano.
Ed ecco il nostro manifesto visuale sulle sensazioni che una visita all’Expo ci ha suggerito. Metteteli a confronto e poi traetene le conclusioni.
Queste alcune parole chiave:
Sostenibilità ambientale
Equità
McDonalds
Cibo sano
Acqua pulita e gratuita
Energia sostenibile
CocaCola
SlowFood
Equo accesso al cibo a tutti
Agricoltura equa e sostenibile
Monsanto
Nutella
Fame
Gourmet
Mezzogiorno di cuoco
Nestlé
Tutela
ecosistemi
Benetton
Burger King
Eataly
…………………….
Italian_version_Milan_Charter
Contro tutte le correnti!
Ara Pacis “in vitro”
Cominciamo il 2015 con una prima serie di considerazioni rigorosamente controcorrente e politically incorrect sulle varie arti che trattiamo in questo blog.
Arte delle arti
I BLUFF DELL’ ARCHITETTURA, DELLA MUSICA E DELLE ARTI CONTEMPORANEE. Ho scritto molte volte e forse invano di che cosa credo debba essere considerato arte e cosa no, che cosa debba essere considerato architettura e che cosa solo una macchina o uno strumento urbano tecnologico. Anche per la musica vale lo stesso discorso sia classica o popolare. La differenza sta spesso tra il virtuosismo, l’abilità manuale e l’ispirazione poetica (dal poiein di classica memoria). Molti grandi poeti cantanti sapevano suonare male o poco mentre molti mediocri artisti erano e sono, quando va bene, solo dei grandi talenti della manualità meccanica e vocale sostenute dalle moderne tecnologie. La pittura, la scultura, la decorazione, l’architettura, la musica, la danza e varie altre attività espressive dell’uomo diventano arte sotto certe condizioni. Queste condizioni non sono presenti nei numerosi artisti locali che hanno riempito la maggior parte degli spazi pubblici e delle provincialissime “pinacoteche moderne” che molti comuni piccoli e grandi vantano, ma non sono presenti anche in molti nomi delle arti e dell’intrattenimento nazionale e internazionale. La capacità mediatica e di convincimento di critici, televisioni, giornali e social networks ha creato molte stars fasulle e inconsistenti, gradite al mercato e non rispondenti per nulla a quelle che io chiamo le regole d’oro dell’opera d’arte: la fisicità, la gratuità, l’universalità, la immediata capacità di trasmissione estetica (versus l’anestetico), la grande cultura che trapela sottotraccia dall’autore, dalla sua scuola certa e consolidata. Quando l’architettura, ad esempio, travalica la funzione specifica del suo essere fisico e tecnico e trasfigura verso l’estetico, raccontando o evocando storie ed emozioni in tutti (e dico tutti) diventa arte. Altrimenti è un oggetto d’uso come un’automobile o un tavolo, una nave o un martello, piacevole o sgradevole che sia. Ciascuno credo debba essere in grado di riconoscere con sicurezza se un poeta è anche un artista, così come un cantautore, un musicista, uno scrittore, un architetto, un danzatore.
Arte della politica
IMPRONTA ECOLOGICA, GLOBALIZZAZIONE, EQUITA’, DEMOGRAFIA IN EUROPA. Secondo una interpolazione delle formule scientifiche, ormai assodate, sull’impronta ecologica e la sostenibilità demografica l’Europa non potrebbe sostenere più di 200.000.000 di abitanti in condizioni di vita solo accettabili se fossero equamente distribuite risorse e ricchezza. Oggi siamo circa 713.000.000! E la crisi? E le migrazioni da altri continenti che paradossalmente hanno molte più risorse naturali vanificate e rese inutili o accaparrate da moderni colonialismi, da guerre tribali, religiose ed economiche, e sovrapopolazione? Vogliamo riflettere senza ipocrisie e pensare a soluzioni concrete per il futuro? Le nazioni della vecchia Europa, sempre più in crisi e sempre meno ricche, per evitare che si avveri il presagio sociologico di Alexander Mitscherlich o Ulrich Beck, debbono pianificare, insieme agli Stati economicamente avanzati del mondo e all’ONU, una politica urgente e non più rinviabile di sostegno effettivo all’emancipazione politica e sociale delle regioni da cui partono i flussi migratori favorendo la fine di conflitti tribali, religiosi ed economici e soprattutto imponendo l’estinzione della colonizzazione occidentale ancora attuata pervicacemente da multinazionali, da imprese occidentali e orientali e, non raramente, da ONG ed enti di beneficenza e cooperazione abilmente dissimulati. Lo spazio vitale e le risorse del mondo sarebbero sufficienti per tutti a patto che si possano attuare sensate politiche demografiche, educative e culturali valorizzando in chiave moderna l’ambiente, le tradizioni e le storie di ogni popolo. Nella metafora dei vasi comunicanti della ricchezza e povertà i livelli si debbono progressivamente avvicinare fino quasi a pareggiarsi. Le parole comode di tanta politica, religione e filosofia: carità, elemosina, solidarietà si debbono rapidamente trasformare in sforzi verso garanzie di pari opportunità, emancipazione ed equità sociale.
Arte del cibo
MAC DONALD’S, EATALY E SLOW FOOD. Le mode esistono anche nel mangiare. Se il colosso Mac Donald’s cede timidamente al “local” rispetto al “global” e propone piatti quasi a km 0 fondati sulla tradizione dei luoghi in cui opera, Eataly si vanta di essere rigorosamente global e trasferisce il “meglio del cibo” italiano ovunque nel mondo non preoccupandosi dell’inquinamento dovuto al trasporto né del fatto che, come dicevano i nostri anziani contadini e pescatori, i prodotti del mare e della terra non possono essere consumati nemmeno a qualche decina di metri di distanza dai loro luoghi perché si perderebbe l’odore, lo spirito intrinseco della loro origine e tutta la cultura che si respira, come ambiente, arte e storia nei siti della loro nascita e cura. Ho provato, per curiosità e dovere di cronaca, un pasto in una Hamburgeria di Eataly ed ho ricevuto cibo nella media, servizio come un qualsiasi fast-food a prezzi non proprio popolari. Un grande bluff? Certo è che la globalizzazione che sradica le cose belle e buone dal loro contesto geografico fa enormi danni alla cultura e alla salute per un mito del cibo “etnico” che ha mostrato, nel tempo, tutti i suoi limiti di qualità e di sostenibilità. Slow Food suggerisce, pur nei limiti della sua dimensione di impresa in questo mercato fondato sul profitto e sulla libera impresa, qualche strada percorribile per la determinazione della libertà dei popoli in merito al diritto ad una sana ed adeguata alimentazione. Note critiche emergono comunque su alcuni aspetti come viene evidenziato nelle pagine di Wikipedia: “Nonostante i lodevoli obiettivi ci sono altri problemi che non vengono affrontati. Ad esempio, senza alterare in modo significativo la giornata di lavoro delle masse, la preparazione del cibo in una maniera slow food può essere un onere aggiuntivo a chi prepara il cibo (spesso donne). Al contrario, la società più benestanti possono permettersi il tempo e le spese di sviluppo di ‘gusto’, ‘conoscenza’ e ‘discernimento’. L’obiettivo dichiarato di Slow Food di preservare se stesso dal “contagio della moltitudine” può essere visto come elitario”.