Archivi tag: classi

image_pdfimage_print

Quelle classi stra-volte. Educazione, violenza e rispetto.

Scrivevo in un recente articolo apparso anche sul sito di Comune-info osservando ciò che sta accadendo nella scuola secondaria di primo ma soprattutto di secondo grado: “Gli stessi insegnanti di questo segmento finale dell’istruzione sono in qualche modo condizionati pesantemente dagli stereotipi, dalla loro formazione o meglio non-formazione pregressa di cui non hanno comunque alcuna colpa.Sono vincolati da una organizzazione rigida e incapace di accogliere e contenere il difficile mondo di quelle età della vita e costretti dalle regole a volte necessarie in luoghi e contesti semireclusori. Si vedono pertanto diretti ad agire in due direzioni principali: la nozione e la meritocrazia, la rendicontazione e la disciplina da un lato e quella che io chiamo la maledetta progettite dall’altro. Parlo della pletora di progetti ed eventi del bricolage sedicente pedagogico ma in realtà solo didattico pensato per una finta innovazione che non fa altro che indorare pillole su pillole (la motivazione, i giuochi di ruolo, il team teaching, la peer education, il learning by doing..) con tante parolacce spesso di chiara origine anglosassone nelle teorie e nelle applicazioni. La didattica cosiddetta alternativa è solo un altro strumento ipocrita per migliorare un modello di scuola che mantiene comunque i suoi parametri fondamentali e si esplica prevalentemente nella gestione spesso obbligata da realtà difficili e complicate, come se si fosse dei secondini che controllano gruppi in gran parte affatto interessati (per diversi motivi: familiari, sociali, di moda del momento) all’indirizzo di studi o alle cosiddette discipline che niente e nessuno potrà mai indurre ad amare in quei luoghi e in quel sistema complessivo. Il fatto che scuole ad indirizzo artistico fossero in qualche modo un’eccezione anche se timida a questa diffusa regola (ma solo per metà delle cosiddette materie, non a caso) è perché erano (prima di essere omologate ai percorsi liceali) un insieme di esperienze e indirizzi di studio, per la maggior parte dei casi scelte per forte vocazione che coinvolgevano le città, la vita, i territori mentre il luogo denominato scuola era una specie di portale ante litteram per muoversi verso le attività molto spesso spostate fuori e non solo in prossimità.”

Ciò che si legge e si vede sempre di più nei media è un mix improntato a confusione, violenza, obblighi insensati, regole di convivenza civile inesistenti o solo formali, demotivazione totale, inutili sforzi di salvataggio di una scuola irrimediabilmente persa da decenni. Dagli insegnanti che vessano gli studenti e viceversa (con punte estreme sempre più diffuse di intolleranza, assenza di rispetto reciproco fino anche alla violenza) fino alla mancanza di indirizzi pedagogici o di spunti realmente innovativi in campo educativo. Molte competenze pedagogiche e applicazioni coraggiose si perdono già dalla fine della scuola primaria, costringendo gli insegnanti ad essere prevalentemente degli addestratori e classificatori. Oltre ai contesti familiari e sociali sempre più disconnessi tra loro, quando non in palese conflitto, oltre all’influenza, sempre più pervasiva e recante dipendenza, dei social, condivisa ahinoi sia dalle famiglie che dai loro figli ,si rileva come sia determinante ciò che si è fatto o non si è fatto negli undici anni di “scuola” che precedono, così come nell’insieme dei contesti sociali e familiari. Il più delle volte i danni pregressi sono decisamente incalcolabili e irrecuperabili se coniugati con l’essere degli studenti nel pieno dell’adolescenza. Riflettiamo anche su come si è alfabetizzata e formata, nella scuola e fuori, la generazione (anni 70 e 80) di gran parte dei genitori dei ragazzi, degli adolescenti di oggi e (perché no?) anche dei docenti.

Ricevo tanti, troppi racconti di “prof” delle superiori disperati di fronte all’impossibilità di motivare, anche con gli strumenti di quello che ho chiamato spesso “bricolage pedagogico”, i giovani presi da tutt’altri interessi in quanto spesso costretti a scelte di percorsi che da soli non avrebbero mai intrapreso. Dai racconti si deduce anche una certa impotenza attribuibile ad una scarsa preparazione dei docenti stessi il più delle volte tutta incentrata sulle discipline, sulla persistente triade tutta utilitaristica e addestrativa delle Conoscenze, Competenze e Capacità. Questa sacra trimurti dell’istruzione è coniugata con inserti di pseudo innovazione tratti dalle ” pedagogie e didattiche” di gran moda che induce ad un gioco continuo e pericoloso tra il mantenimento della cosiddetta disciplina e le attività didattiche che si barcamenano a cavallo tra le indicazioni nazionali, che impongono il raggiungimento di determinati obbiettivi, e l’invito sempre più invadente a progettare improbabili sequenze, unità didattiche, moduli… Il tutto sfocia inevitabilmente nella misurazione numerica sempre inattendibile e limitata alla sommatoria delle anacronistiche “prove oggettive” mitigate dall’introduzione spuria di risibili e spesso inutili giochetti pedagogici in genere tesi a creare un surrogato di esperienza. Lo studente che si impegna e partecipa a questa specie di “dialogo educativo” lo fa per una sorta di remissione ad un destino quasi inoppugnabile oppure perché succube, fin dai percorsi scolastici e familiari precedenti, della competizione e della gara ai voti più alti nonché della rendicontazione familiare. In certi indirizzi di studio l’insegnante è costretto suo malgrado ad una lotta continua e sofferta tesa a mantenere le relazioni in classe ad un livello minimo di civile convivenza mentre solo in determinati contesti e a certe condizioni si riesce a fare delle prove efficaci di pedagogia e didattica, quando il docente (rarissimamente) ne possegga almeno qualche essenziale e applicabile cognizione.

Cito come chiosa e invito a leggere qui di seguito uno scambio surreale di battute vere nei social tra due prof. che ho chiamato “DIALOGO TRA UN VIAGGIATORE SCOLASTICO STRESSATO E UN VENDITORE DI ALMANACCHI EDUCATIVI“(mediatico sedicente filosofo e pedagogista rampante e pontificante)
Venditore di almanacchi  educativi: “Il diritto di educare non è scontato. Non l’ho per aver superato un concorso. L’educazione è nella relazione; e nessuno ha il diritto di educare nessuno se non è disposto a costruire una relazione vera. Una relazione di potere non è una relazione vera. Non hai diritto di lamentarti di nessuno studente se non sei sceso dalla cattedra e non lo hai guardato negli occhi.”
Viaggiatore scolastico stressato: “Sono tante volte sceso dalla cattedra e ho provato a guardare negli occhi come dici tu ricevendo solo sputi e sberleffi, spesso non solo metaforici. Ma forse non sei mai stato in una classe-riformatorio (spiace chiamarla così ma tant’è) di una periferia metropolitana dove nessuna, nessuna, dico nessuna strategia è possibile se non il laissez faire, tacere e lasciar trascorrere il tempo sperando che non succeda nulla mentre per tutto il tempo escono a frotte, flirtano, si menano, urlano, insultano, chattano e non ti permettono neppure di dire una parola, di proporre attività, pure fuori dall’aula o dall’edificio! Forse sei in una bella scuolina liceale di provincia dove certe cose non accadono quasi mai? Comunque sia non hai per nulla detto come faresti concretamente se non ti consentissero  di fare una beneamata cippa, se non sperare che non accada nulla di irreparabile aspettando con ansia la fine dell’ora. Anche in una relazione non di potere possono accadere certe cose se manca del tutto, per consuetudine consolidata, il rispetto reciproco e quando questo è impossibile da ricostruire. La mia conclusione è comunque sempre la stessa: questa “scuola” che obbliga tutti a stare per ore chiusi in una stanza a fare cose che non interessano punto, con pochissime palliative vie d’uscita va chiusa. Solo poche eccezioni confermano questa orribile regola. Oggi poi ancor di più.”

ll fatto è che oggi ad ogni piè sospinto la cronaca riporta episodi di violenze non solo verbali, intimidazioni, continue provocazioni pesanti e dileggi nei confronti degli insegnanti, anche quelli che tentano tutte le strade per un dialogo educativo più avanzato per quello che è possibile essendo quasi nulla la preparazione offerta dai crediti universitari (solo storie di teorie e niente tirocini sul campo) o dal pochissimo tempo e dalle spurie e confuse risorse per prepararsi ai grotteschi concorsi. Per non parlare del ridicolo “periodo di prova” cui sono sottoposti identicamente coloro che hanno già anni di esperienza come coloro che sono all’esordio assoluto. Qui il diritto alla formazione vera e sul campo dei neofiti è quasi assente o malamente e burocraticamente realizzata. Le scuole, dai racconti in diretta, appaiono come un coacervo di omertà, di “ha da passà a nuttata“, di dirigenti ponziopilati e/o burocrati, di famiglie assenti e che delegano le loro enormi problematiche ad una istituzione di fatto inadeguata ed impotente. Non esistono nella maggior parte dei casi, come qualcuno blatera, insegnanti più o meno bravi. Sono dilaganti invece situazioni che né i cosiddetti bravi né i non bravi sarebbero in grado neppure di immaginare di poter gestire. Quando ci provano sbattono contro i soliti muri di pietra o di gomma a seconda dei casi e ne soffrono emotivamente e professionalmente spesso venendo grottescamente e vilmente anche accusati di non saper coinvolgere, motivare, interessare. Nessuno si pone il problema che in certe realtà “ad impossibilia nemo tenetur”? Molti studenti adolescenti non vorrebbero per nessun motivo essere lì dove vengono collocati a forza e senza effettiva scelta. Per questo cercano solo un modo per non annoiarsi e per sbarcare il lunario anche arrivando a creare climi simili a quelli di tante mini “arancia meccanica”. L’unica strada proprio per questo è quella che si propone: cambiare radicalmente tutto prima che diventi una vera e propria “guerra scolastica” come in tanti paesi che ci hanno drammaticamente preceduto in simili scenari (USA, Sudamerica e Francia per esempio).

Le risibili prove di scuole senza zaini, senza voti, classi ribaltate, giochini pedagogici inutili, stanno nascondendo il fatto che questa scuola pubblica che ha raggiunto, anche dopo la tristissima esperienza pandemica, punte inopinate di esasperazione, di violenza e di inutilità prevalentemente nel suo segmento “secondario”, andrebbe chiusa immediatamente oppure sostituita rapidamente e “da dentro” con un sistema diverso, operando come in un trapianto multiplo di organi o del corpo intero stesso. Molti docenti che per paura dichiarano schernendosi che le loro classi, per carità, sono tranquille, rispettose e non danno alcun problema, lo fanno perché hanno rinunciato a tutto, compresi i tentativi di approcci alternativi e lasciano i ragazzi a cuocersi nei loro brodi di coltura senza chiedere nulla e senza dare nulla, facendo decisamente più danni rispetto a quelli gravi già presenti e diffusi fuori e dentro i reclusori scolastici. Gli psicologi imperversano da tempo con mille teorie senza mai entrare nelle realtà concrete e senza un repertorio di praticabili soluzioni ma senza, soprattutto, riuscire a definire le situazioni estreme e pericolose e suggerirne i rimedi. Ho letto saggi di tutti i tipi sulla gestione di gruppi, classi, tribù. Non fanno altro che sciorinare giaculatorie, parole chiave, miracolosi suggerimenti e linee guida superficiali e astratte che appaiono del tutto sconnesse dai fatti reali che stanno accadendo e dalle mille tipologie di situazioni che solo una radicale mutazione del sistema supererebbe d’incanto.

Sarebbe tutto diverso se ci fosse continuità tra un percorso precedente (infanzia, primaria e secondaria di primo grado) improntato anche solo ad una sperimentazione di educazione diffusa che aiutasse, insieme ad iniziative solide e continue di formazione ad hoc degli insegnanti , a ridefinire in senso decisamente innovativo il concetto di educazione, per il momento in modalità sperimentale, anche nell’ultimo tratto del percorso educativo tradizionale.

Importante sottolineare il fatto che comunque, anche nel tratto di vita prossimo alla fine del percorso educativo canonico, quando determinate conoscenze siano di fatto indispensabili e fondamentali indipendentemente dalla motivazione, la modalità esperienziale induttiva debba essere considerata imprescindibile. Non è un caso che proprio poco tempo fa, estendendo il campo a tutto il sapere e non solo a quello scientifico, il nostro fisico Giorgio Parisi abbia voluto sottolineare l’importanza di far precedere l’esperienza all’astrazione.

In una possibile ipotesi di riconfigurazione del percorso educativo complessivo si potrebbe cambiare finalmente strada e contemperare in modo decisamente rivoluzionario le esigenze di preparazione che definiamo universitaria o professionale con la consapevolezza delle scelte fatte e quindi l’induzione di interesse e partecipazione certamente in un ambiente (o una serie di ambienti) fisico e relazionale decisamente opposto a quello attuale, con la costante di una ineluttabile integrazione virtuosa attraverso le esperienze vive, dell’accezione naturale, sociale, familiare, urbana. Si comprenderebbe allora a pieno, non considerandola più noiosa e inutile, perfino l’esigenza, come nella musica, in determinati momenti, del classico “solfeggio” accanto all’esecuzione creativa ed appassionata frutto di improvvisazioni e incidentalità.

Una strada che ritengo però al momento improponibile, per il segmento di età tra i 14 e i 18 anni, visto il contesto attuale che comprende l’organizzazione degli istituti e il modo di lavorare di dirigenti e docenti oltre all’humus studentesco, sarebbe proprio quella di una sperimentazione del tutto improvvisata e avulsa dal percorso precedente perché resterebbe un’isola estemporanea e condizionata dai pregiudizi e dai tabù propri di gran parte del corpo docente della secondaria di secondo grado formata e reclutata anche oggi più da addestratore disciplinare, che da educatore e costretta da una terribile realtà sempre più spesso ad una funzione di badante quando non di secondino o guardiano dei cellulari! Sarebbe utile invece e indispensabile concentrarsi su una preventiva solida formazione degli insegnanti e dei dirigenti per affrontare successivamente percorsi sperimentali in gruppi o classi a partire dal primo anno avendo assunto informazioni e testimonianze sulle caratteristiche del loro percorso negli anni precedenti.

In vista di auspicabili radicali cambiamenti che oltrepassino e sostituiscano l’intero sistema educativo attuale , come ipotizzato nell’articolo La scuola pubblica si chiude ancor di più su sé stessa, si può pensare, nel frattempo, ad un sistema cooperativo in rete di esperienze e progetti di educazione diffusa per cicli completi accanto agli esperimenti possibili (oggi ahinoi sempre meno) nella scuola pubblica promossi e gestiti dai docenti e dalle associazioni che si sono o si saranno già formati in diverse occasioni.

Non è di conforto comunque l’osservazione dei progetti di svendita della scuola pubblica al privato ed all’aziendalismo governativi, accanto alle risibili proposte della cosiddetta “sinistra” avanzata o timida, che auspica nient’altro che più risorse per il personale, l’abolizione delle classi pollaio, il tempo pieno e prolungato, il potenziamento delle scuole nelle realtà più fragili e la diffusione ad libitum di forme di bricolage pedagogico e didattico. Tutto ciò viene definito come una controffensiva valida per riformare la scuola pubblica. Ricordo ancora una volta come non si possa rimodellare nessuna forma con una materia prima da buttare.

Giuseppe Campagnoli Febbraio 2023

NOTE

Giuseppe Campagnoli, architetto ricercatore e saggista operante nel campo dell’educazione, dell’architettura per l’educazione e la cultura. Già docente e direttore di scuole artistiche a Macerata, Cagli, Pesaro e Riccione. Responsabile dal 2000 al 2006  dell’Ufficio Studi e Ricerche presso la Direzione Scolastica Regionale per le Marche del MIUR. Fino al 2012 nella lista degli esperti dell’ Education, Audiovisual and Culture Executive Agency della Commissione Europea e dell’UNESCO nel campo della cultura dell’education e della creatività.Fondatore e Amministratore nel 2013 del Blog multidisciplinare ReseArt.com dove scrive di scuola, architettura, arte, politica e varia umanità.Coredattore fin dal 2016 e firma del “Manifesto della educazione diffusa” pubblicato nel 2018.Numerose le pubblicazioni in campo educativo e sui luoghi dell’apprendere.  Collaboratore, tra le altre, della rivista on line Comune-info.net, della Rivista dell’istruzione, Education2.0, Terra Nuova, Innovatio educativa, Le Télémaque. 

L’Educazione diffusa è un progetto educativo nato con la pubblicazione nel 2017 del Manifesto dell’educazione diffusa, seguito da diversi volumi e articoli a firma di Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli nonché seminari, incontri, iniziative e progetti sperimentali in Italia e anche all’estero che hanno coinvolto anche le Università di Milano, Macerata, Parma e Caen (Francia). E’ stato oggetto anche di audizione presso la Commissione parlamentare Istruzione e Cultura nel 2020. Le ultime pubblicazioni sull’argomento sono: una specie di racconto giocoso (“La commedia della città educante”) dedicato alle traversie burocratiche delle sperimentazioni dell’educazione diffusa, un libro di Paolo Mottana intitolato “I tabù dell’educazione” e un saggio in una prestigiosa rivista francese di filosofia dell’educazione: Le Télémaque dell’Università di Caen intitolato “L’educazione diffusa e la città educante”.Uscita a dicembre 2023 un‘antologia di scritti di Giuseppe Campagnoli sull‘architettura della città e l‘educazione. Prossimamente un libro di Paolo Mottana dedicato alla costruzione di un “Sistema dell‘educazione diffusa“.

image_pdfimage_print