Gatti, volpi e pinocchi televisivi.

E noi che cosa scrivevamo?

E’ ricominciata la saga del fabiofazismo e mi sono venute in mente le note pubblicate su questo blog in relazione all’arte dell’intrattenere televisivo, dell’imbonire e del subliminalmente predicare. Ripropongo un articolo che mi piacque molto datato 2010 di Andrea Scanzi, anche lui ahimè oggi trasformatosi in  predicatore che  ha cominciato a razzolare meno bene diventando uno dei tanti “prezzemoli” e “superprezzolati”televisivi  come il suo FABIOFAZIO che ora fa il salto di qualità da RAI3 a RAI1. L’articolo in questione, “Fabio Fazio l’intervistatore senza domande” è apparso su Micromega di ormai 7 anni or sono. Lì Fabiofazio veniva definito, non senza qualche ragione evidente, “Il grande intoccabile della comunicazione di centrosinistra. Il demiurgo del chiacchiericcio pensoso. Il Vincenzo Mollica apparentemente impegnato. Il cantore del paraculismo d’essai: un intervistatore senza domande con tante macchie e ancor più paure”.

La storia recente ha dato piena ragione a queste descrizioni, le ha consolidate e corroborate anche con un  crescente contraltare di emolumenti milionari che hanno fatto gridare allo scandalo immorale e provocato qualche giusta petizione sui social. Continua la kermesse di lodi sperticate per tutti gli ospiti, finte domande “cattive”, finti trabocchetti giornalistici, finta ricerca della verità nella cronaca e nella politica,gigionate letterarie, musicali, artistiche e umanitarie, tensione al radicalchic che si trasforma in radicalchoc. La parte più comica era proprio quella delle interviste e dei siparietti con il grande Massimo che ora dalla Stampa è trasbordato al Corriere e si è assicurato un programmino tutto per lui. Una comica più efficace che quella delle Littizzettate sboccacciate che provocano applausi e ilarità in una platea di bravi italiani sensibili ad ogni parolaccia allusiva al sesso. Eppure il format e certe sue intenzioni all’origine erano buone ed apprezzabili. Ma di buone intenzioni spesso è lastricata la via dell’inferno.Non crediate che i dati di audience siano sintomo di vero successo culturale! In Italia c’è un crescente analfabetismo di ritorno da destra ma anche uno di sinistra o, meglio, di centrosinistra oltre che stellato. Temo che Fabiofazio si dovesse fermare ad “Anima mia”!

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Ma il business non si ferma, a dispetto del pubblico che non solo paga il canone ma paga, e non tutti lo dicono o lo ammettono, gli effetti perversi e indotti della pubblicità che, ancora e sublimine, sono a carico dei cittadini. Tant’è che ai rilievi ormai frequenti di ipertrofia di emolumenti, (excusatio non petita..) i conduttori si scherniscono e si giustificano con le leggi liberali (o liberiste?) del mercato a volte anche attaccando chi li accusa. Ricordo che, nel 2011, quando una mia lettera a La Stampa, che stigmatizzava il plusvalore attribuito scandalosamente a mezzibusti, giornalisti, calciatori, artisti, fu letta e commentata in diretta da un Massimo Gramellini possibilista, il nostro Fabiofazio giustificava le laute prebende dei vips e commemorava la bontà del libero mercato e degli sponsors! Il concetto, perverso, è sempre lo stesso, anche per i sedicenti progressisti: la ricchezza è giustificata dal merito (?) e dal mercato che è libero e “giusto”, la povertà va aiutata con la carità e la solidarietà. E il famoso cammello che doveva entrare nella cruna dell’ago?

Giuseppe Campagnoli 7 Ottobre 2015 aggiornato in Giugno 2017




Ritorna l’intervistatore inesistente.

Ecco l’ineffabile anchor-man per eccellenza che, “da sinistra”, difende ed elogia il mercato. Ricordiamo i nostri post di tempo fa per ribadire il concetto che pare sfuggire ai più, spesso in malafede, secondo cui è bene che il servizio pubblico non si contamini con il privato (sponsors, appalti, pubblicità, contratti fuori budget..) per mantenere autonomia, indipendenza dalle logiche di mercato ed etica sociale.

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Dio come insieme di valori essenzialmente umani e naturali?

di Giuseppe Campagnoli Giuseppe-Campagnoli

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Ascoltando ieri di nuovo, dal pulpito di Fabio Fazio, Vito Mancuso studioso di teologia, oltre che una delle nuove stars spirituali (!) mediatiche, in contraddittorio sottile con lo scienziato Veronesi, ho ricordato una frase che disse in una intervista precedente e che ieri, stranamente, non ha ripetuto. Forse sosteneva la parte del mistico “credente”?

Aveva tradito nel discorso di allora la sua, a mio avviso apprezzabile, vocazione umanista, rispondendo  alla fatidica domanda di Fabio Fazio: “Cosa vuol dire per te credere in Dio?”. Quasi allo stesso modo in  cui rispose mirabilmente anche Eugenio Lecaldano in “Etica senza Dio”. La replica di Vito Mancuso, inequivocabile, in sintesi è stata: “Credere in Dio significa che la passione per il bene e la giustizia che è dentro di noi è l’attestazione di una realtà più profonda che tradizionalmente dagli uomini viene chiamata Dio” 

In definitiva Dio non sarebbe altro che il “nomen” con cui gli uomini hanno sempre identificato il senso di giustizia, di uguaglianza, di libertà e in generale di bene che appare innato in loro stessi. La frase dal sen fuggita di un teologo famoso fa ben riflettere, come fa pensare che ieri, di fronte al laico Veronesi, non sia stato lo stesso: esigenze di copione?