Fascismo, neofascismo e postfascismo.

Non lasciamoci fregare. Il postfascismo può essere decisamente peggio del fascismo. Si aggiorna in senso deteriore dissimulando una ideologia antidemocratica e antipopolare più subdola e gregaria del liberismo nazional popolare.

Dovremmo andare verso una società “de-globalizzata”? Esistono le “neo-femministe”? Se le parole non sono neutre, questi piccoli strumenti sintattici che sono i prefissi, che occupano un posto dominante nella creazione del lessico della lingua, non derogano alla regola. “Due terzi dei neologismi oggi si formano sulla base di prefissi, spiega Christophe Gérard, linguista dell’Università di Strasburgo. Un predominio netto che probabilmente spiega perché i politici vi ricorrono in maniera massiccia. La pronuncia di un termine può investirlo di una carica politica che prevale sulla sua originaria neutralità; il dibattito semantico sulla vittoria della Meloni alle legislative del 26 settembre lo illustra bene. Non ha mancato di irritare, come la giornalista conservatrice Gabrielle Cluzel che su Twitter ha scherzato: “Neofascista, postfascista… possiamo inventarne molti altri: parafascista, perifascista, subfascista, criptofascista…”. La maggior parte dei media e dei politici ha optato per l’etichetta di “post-fascista”, riconoscendone le radici ed evitando la trappola dell’anacronismo. ““Néo” evoca semplicemente una ripresa nel presente, mentre “post” induce un aggiornamento per distanza, un sorpasso che permette di disinnescare ogni critica, analizza Bruno Cautrès, ricercatore del Centro Ricerche Politiche di Sciences-Po (Cevipof) e specialista in comportamento politico. La vicinanza ideologica viene così preservata, pur segnando un taglio netto con il passato. Se il “postfascismo” ha dato luogo a divergenze concettuali e ideologiche, gli specialisti concordano sull’idea di un riconoscimento dell’eredità fascista, ma senza la volontà di rompere con le istituzioni democratiche – insomma, una moderazione dell’autoritarismo per aprire un dialogo con le forze della destra e integrarsi nel gioco politico.“Orientamento politico consistente nel superare parzialmente o totalmente un passato fascista o neofascista senza tuttavia rinnegarlo”, così definisce il dizionario italiano Garzanti.Questa idea di superamento, di rottura con il passato, non è priva di problemi per il filosofo Michaël Foessel , per i quali gli echi tra ieri e oggi sono troppo inquietanti per considerare che viviamo per sempre dopo il fascismo. “Il “post” implica una novità che inscrive il presente in un’esplicita negazione del passato”, ha ricordato sulle pagine di Liberazione. È curioso evocarlo per caratterizzare un partito che non si è nemmeno preso la briga di modificare lo striscione che gli fa da logo e che tutti sanno essere il segno storico dell’adesione al Duce di coloro che, naturalmente, vennero dopo il regime fascista, ma nella speranza di ripristinarne i principi.

Da non sottovalutare, in questo quadro, c’è la tolleranza o quanto meno l’assenza colpevole di certa sinistra liberaleggiante che forse fa già parte di quell’altra faccia del postfascismo rimeditato negli effetti che non è certo nostalgia ma sicuramente terribile attualità neoliberista come ben scrive Paolo Mottana:

Due righe sul fascismo: oggi, come è evidente, la parola fascismo, ben oltre le sue origine storiche, individua una lista di comportamenti che, genericamente ma correttamente, definiamo fascisti: autoritarismo, violenza verbale e fisica, imposizione, giudizi sommari, crudeltà gratuita, condanne per le idee ecc. ecc. Quindi oggi vorrei celebrare non solo la Liberazione con la L maiuscola, quella che conosciamo perché ci è stata tramandata dai nostri vecchi e che ci parla di libertà da sofferenze inaudite ma anche una liberazione minore, da tutti i fascismi che infettano il mondo: quelli che ci imprigionano in rapporti violenti, quelli del lavoro dove capi e capetti si permettono di insultare e vessare gratuitamente perché hanno uno straccio di potere, dove siamo giudicati in base a invidie e ritorsioni, quelli del tempo che ci viene rubato o castrato, quelli delle deportazioni (quella scolastica o lavorativa per esempio), quando accettiamo di subire ogni tipo di potere sulla nostra vita senza ribellarci, o ribellandoci e venendo immediatamente schiacciati da sanzioni di ogni genere, di quelli che ci indicano cosa fare, come impiegare il nostro tempo residuo e non ci rendiamo più conto che non sappiamo più fare una scelta autonoma perché tutte le nostre scelte sono già predecise altrove (sulle vacanze, sul tempo libero, persino sul riposo e sul fare l’amore), quelli della coppia talvolta, della famiglia troppo spesso, delle code in auto, degli ammassamenti sulle metropolitane, dei centri commerciali, delle spiagge in batteria come polli a cuocere alla griglia, dei programmi televisivi a senso unico, di tutti i fanatismi, buoni o cattivi, religiosi o laici.Vorrei celebrare la liberazione dai fascismi che fanno della nostra vita una vita da schiavi, da sottomessi, laddove spesso siamo noi stessi a non saper leggere il fascismo interno che noi stessi ci rifiliamo pur di non vivere l’ebbrezza spaesante di una vera liberazione.

Fascismo e fascismi dunque, a braccetto insieme e assai più pericolosi e criminali se ben propagandati da una avanzante occupazione culturale multiforme, subdola, a volte sfacciatamente palese e, a volte, anche pericolosamente subliminale.

Giuseppe Campagnoli Aprile 2024




Da Rousseau a…

Tra postmarxismo,mutuo appoggio e svuotamento “da dentro” del capitalismo.

A partire da Rousseau per arrivare ad una realtà futuribile di equità sociale vi può essere una fase transitoria tesa a smantellare gradualmente -attraverso la contribuzione e la regolamentazione del profitto e del possesso, forme di reddito universale d’emergenza, la cooperazione vera al posto dell’impresa mono o oligarchica, il capitalismo dello sfruttamento e della globale disuguaglianza dogmatica.

“ Le premier qui, ayant enclos un terrain, s’avisa de dire : Ceci est à moi, et trouva des gens assez simples pour le croire, fut le vrai fondateur de la société civile. Que de crimes, de guerres, de meurtres, que de misères et d’horreurs n’eût point épargnés au genre humain celui qui, arrachant les pieux ou comblant le fossé, eût crié à ses semblables : Gardez-vous d’écouter cet imposteur ; vous êtes perdus, si vous oubliez que les fruits sont à tous, et que la terre n’est à personne. Mais il y a grande apparence, qu’alors les choses en étaient déjà venues au point de ne pouvoir plus durer comme elles étaient ; car cette idée de propriété, dépendant de beaucoup d’idées antérieures qui n’ont pu naître que successivement, ne se forma pas tout d’un coup dans l’esprit humain. Il fallut faire bien des progrès, acquérir bien de l’industrie et des lumières, les transmettre et les augmenter d’âge en âge, avant que d’arriver à ce dernier terme de l’état de nature. Reprenons donc les choses de plus haut et tâchons de rassembler sous un seul point de vue cette lente succession d’événements et de connaissances, dans leur ordre le plus naturel.”

“Il primo che, avendo recintato un terreno, si preoccupò di dire: questo è mio, e trovò gente abbastanza semplice da crederci, fu il vero fondatore della società civile. Quanti crimini, guerre, omicidi, miserie e orrori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pali o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dall’ascoltare questo impostore; siete perduti, se dimenticate che i frutti sono di tutti, e che la terra non è di nessuno. Ma c’è una grande evidenza: allora le cose erano già arrivate al punto di non poter più durare come erano. Questa idea di proprietà, dipendente da molte idee precedenti che non hanno potuto nascere che successivamente, non si formò improvvisamente nella mente umana. Fu necessario fare molti progressi, trasmetterli e aumentarli di età in età, prima di arrivare a quest’ultimo termine dello stato della natura. Riprendiamo dunque le cose dall’inizio e cerchiamo di riunire sotto un solo punto di vista questa lenta successione di eventi e di conoscenze, nel loro ordine più naturale.”

« Il ne doit y avoir, ni chez quelques-uns des citoyens une intolérable pauvreté ni chez d’autres une grande richesse, attendu que cette double cause produit ce double effet [désunion et sédition]. »

“Non ci deve essere, né in alcuni dei cittadini, una povertà intollerabile né in altri una grande ricchezza, poiché questa doppia causa produce un duplice effetto di disunione e sedizione.”

PLATON Les Lois

Da OpenEdition journals

Traduzione di Giuseppe Campagnoli

Il libro è un saggio sulla giustificazione di un massimale dei redditi. La tesi sostenuta è che il reddito più alto non dovrebbe essere più di 12 volte superiore al più basso nella società.

A tal fine, gli autori hanno mobilitato numerose opere e teorie economiche dalle quali estraggono gli elementi utili alla loro dimostrazione. Leggendo il fattore 12, si ha diritto ad un’ottima rassegna di letteratura economica. La presentazione, spesso molto chiara e suggestiva, sarà apprezzata dai neofiti.

Tuttavia, gli elementi teorici a volte si accumulano e trascurano l’idea guida iniziale, a volte costringe il lettore a ritrovare da solo il filo dell’argomentazione. Si avranno così numerosi passaggi sul funzionamento della finanza, sulla crisi finanziaria, sulla crisi ecologica o sulla deglobalizzazione. Queste deviazioni rimangono sempre istruttive se ci si lascia prendere. Cosa si trova in questo vasto giro d’orizzonte che propongono Gaël Giraud e Cécile Renouard?

In primo luogo, c’è una critica al livello dei salari più alti con una contestazione della loro efficacia economica. C’è un divario tra retribuzione e valore reale del lavoratore. I consigli di amministrazione che fissano gli stipendi degli amministratori delegati (proprio come i mercati finanziari) funzionano in gran parte con la convinzione e una relativa opacità: se si crede che i dirigenti abbiano qualità eccezionali e meritino di essere pagati profumatamente, diventa una profezia che si auto-realizza nelle pratiche retributive. È la stessa cosa nel mondo del calcio: un calciatore produce 1000 volte più valore aggiunto di un idraulico?

Il mercato dei dirigenti è peraltro un mercato chiuso in cui la concorrenza è debole. Invocare la legge del mercato come principio per la fissazione delle remunerazioni richiederebbe innanzitutto la reintroduzione della concorrenza in questo mercato molto imperfetto rispetto ai canoni liberali.

Un’elevata remunerazione avrebbe anche lo scopo di garantire che i manager siano in linea con gli azionisti, ma è impossibile entrare nella testa di un manager e le sue decisioni potrebbero rivelarsi non ottimali per lo sviluppo e la sostenibilità a lungo termine dell’azienda.

In secondo luogo, vi è una giustificazione per aumentare i salari più bassi. Gli autori mostrano che i paesi emergenti sono sempre più autosufficienti e che il loro arricchimento non andrà a beneficio delle esportazioni europee in futuro. Pertanto, è giunto il momento di rivalutare la domanda interna europea come motore di crescita. Sarebbe possibile anche una ridistribuzione tramite le amministrazioni pubbliche.

In terzo luogo, i più ricchi sono i detentori di titoli del debito pubblico. È giunto il momento di imporre loro di più dopo averli trasformati in prescrittori della gestione degli Stati. Gli autori si battono anche affinché le banche centrali possano nuovamente concedere prestiti agli stati per prosciugare il reddito generato dal possesso di titoli di stato. I fondamentali economici dell’Unione Europea devono essere rivisti.

Gli autori fanno una piccola deviazione piuttosto stimolante. Secondo loro, il rimborso dei prestiti è compromesso dalla minore produttività del sistema produttivo. Finora la produttività si è basata sul progresso tecnico e sulla quantità sempre crescente di energia mobilitata. Tuttavia, con la crescente rarità dei combustibili fossili, questa produttività non sarà più in grado di decollare come durante i Trenta Anni Gloriosi. È quindi urgente passare a una produzione senza emissioni di carbonio, istituendo barriere doganali ecologiche e aumentando i salari europei per sviluppare un nuovo modello di crescita.

In quarto luogo, dobbiamo limitare il reddito dei più ricchi perché hanno uno stile di vita che ha un forte impatto sull’ambiente (emissioni di carbonio e impronta ecologica). Con una parte significativa del resto della società che cerca di emulare questo stile di vita, c’è un urgente bisogno di agire in nome dello sviluppo sostenibile.

In quinto luogo, la limitazione del divario salariale ha una relazione con la felicità e il benessere nella società. Ciò ridurrebbe la frustrazione e l’invidia. Oggi avere un reddito elevato consente l’accesso a dimensioni diverse dal semplice consumo di mercato: il successo scolastico, l’accesso all’arte e ai viaggi e genera logiche di accumulazione. Questo primo aspetto deve essere ridotto e devono essere sviluppate altre modalità di accesso in modo che possano avvantaggiare un numero più ampio di individui.

Infine, gli autori presentano le modalità pratiche di applicazione di questo fattore 12 alla società. In un periodo in cui i divari si allargano, la tesi di limitare il divario reddituale è ardita e assume tutto il suo significato. Il libro è abbondante e mostra una versione del pensiero critico contemporaneo in economia.

La stessa idea andrebbe applicata ovviamente anche alle rendite e ai patrimoni.

La proprietà esisterebbe ancora equamente per i bisogni minimi primari del cibo, dell’abitare, della mobilità, della salute, dello studio.. e pure del diritto al tempo libero e allo svago anche conseguentemente ai limiti posti in basso e in alto a redditi e patrimoni.

Giuseppe Campagnoli Gennaio 2024




Altro che invidia! Ecco come si diventa ricchi e potenti.

IMG_8666

Ecco il mondo che piace a chi ha il potere. Anche chi si contrappone alla politica si muove in questi confini. Pochi parlano di lotta alla ricchezza, troppi di lotta alla povertà.

C’era una volta un legionario liberto e analfabeta di ritorno dalla campagna delle Gallie.
Si chiamava Idrione e viveva nella suburra di Roma. Si distinse in guerra talmente, uccidendo nemici e popolazioni inermi, procurandosi il bottino che il Centurione Procolo propose per lui in premio oltre al soldo usuale.
Gli fu donato un appezzamento di terra con capanna, 10 pecore e due schiavi nell’agro romano.
Cominciò allora ad occuparsi dei suoi averi conquistati uccidendo e depredando: il suo mestiere che non rinnegò mai. Accrebbe i suoi beni dopo poco vendendo i prodotti risultato del lavoro degli schiavi e delle pecore piuttosto che dal suo. Vendeva i suoi prodotti al doppio di quello che gli costavono. Cosi accrebbe il gregge e incrementò il numero degli schiavi che sosteneva giusto perchè potessero lavorare.
Alla sua morte passò i beni ai suoi figli che continuando a sfruttare schiavi e a vendere a più del dovuto consegnarono agli eredi una fortuna in campi, armenti e servi della gleba. Passarono le invasioni barbariche che invece di impoverire i nostri eroi, attraverso complotti, assassinii e ruberie li fecero diventare signorotti del loro territorio con tanto di castello e foresta.
Estesero i loro possedimenti con la violenza e la prepotenza verso i confinanti, non pagando sempre le gabelle all’imperatore o al papa mentre passavano secondo la convenienza ora dalla parte dell’uno ora dalla parte dell’altro. Avevano avviato anche una proficua attività commerciale che, dati i loro innati talenti truffaldini, diventò l’attività principale. Vendevano manufatti realizzati sfruttando una manodopera quasi da schiavi, anche se la schiavitù “ufficiale” stava pian piano scomparendo nel mondo.
La famiglia crebbe e si trasferì dal centro al nord dove riusci anche a fondare una banca diversificando così le attività, per così dire, speculative. Passò il tempo e i discendenti, eredi a volte incolpevoli di tanto ben di dio, sempre più ricchi, alla fine dell’800 ebbero anche l’idea di avviare un opificio. I servi della gleba e i mezzadri si trasformarono in operai ma i padroni erano sempre gli stessi. Per mantenere i patrimoni ereditati senza lavoro e senza scrupoli, occorreva mantenere i profitti senza alcuna remora di tipo sociale e men che meno morale. Attraversarono indenni le lotte operaie, la guerra, la ricostruzione e caddero sempre in piedi per le loro eccezionali abilità trasformiste. Alla metà del secolo scorso la famiglia intraprese anche una parallela attività nell’edilizia e cominciò a darsi all’attività finanziaria moltiplicando il grande patrimonio accantonato nel tempo con spericolate speculazioni nel “mercato” che cominciava a caratterizzare il capitalismo moderno. La famiglia ora può anche contare su alcuni membri laureati all’estero, sopratutto avvocati ed economisti e altri entrati con successo in politica o nell’editoria . Altri ancora si stanno impegnando  nell’antipolitica in movimenti populisti o conservatori. Parte del parimonio è già all’estero e non ritornerà più se non in minima parte con condoni e perdoni vantaggiosi. Gran parte delle attività è stata decentrata dove sia più facile sfruttare, rubare, maltrattare e uccidere l’ambiente, gli animali e le persone e dove esiste ancora una specie di servitù della gleba e di libertà dalle giuste gabelle!

Ecco perché qualcuno disse  che dietro ogni ricchezza piccola o grande che sia c’è sempre un crimine,piccolo o grande che sia.
Così sono nati e si sono perfidamente evoluti, mutatis mutandis, il libero mercato e l’imprenditoria, le professioni liberali e liberiste, i mercanti e i mediatori, piccoli e grandi, sempre difesi a spada tratta dai media e dai politici e antipolitici gregari, amanti e servili verso il liberismo e il profitto in nome del meschino “diritto” alla libera impresa, annessi e connessi inclusi. Tanto poi per i poveri, che debbono restare poveri, c’è l’elemosina, la religione e l'”ascensore sociale”! E c’è chi parla ancora di invidia! Buone vacanze a tutti.

Riscritta e attualizzata  da Giuseppe Campagnoli, Luglio 2016

IMG_8617