Quel “Non mi voglio impegnare”…

di Angela Guardato Angela-Guardato

Riflessione serale leggera scaturita da chiacchiera con amica in chat.

Francesca-Woodman-3-620x388Foto di Francesca Woodman

Orbene, chi non si è mai sentito dire, impelagato in una liaison amoureuse di sorta, ad un certo punto: “Mi dispiace, ma non voglio niente di più. Non mi voglio impegnare”…
Ecco, mi raccontava una mia amica di una sua amica, lasciata di fronte all’orribile dictu senza averci capito granché. Certo, penso e le dico, non c’è nulla da capire, perché la sua assurdità assertiva è lapalissiana ed assrurge ad antonomasia di certo tipo di persona, di solito maschio dai 40 in su, quando cioè l’ardore sessuale si è un tantino placato e l’idealizzazione amorosa è ormai svanita, sorpassata dall’involontario raziocinio, per quanto mesto e cinico possa essere.
Ordunque il malcapitato, di solito una donna, si trova a pensare a cosa diamine possa veramente significare quel “Non mi voglio impegnare”. Anche alla sottoscritta scrivente, è capitato una o due volte, di scervellarsi per capire l’entità dell’affermazione draconiana, nonché le motivazioni soprannaturali che potessero celarsi dietro l’impietoso responso.
In realtà non ne esistono. Questa è la conclusione. Che poi a ben pensare, fa quasi sorridere, (quando uno abbia smesso di piagnucolare sul latte non versato), rendersi conto di come le persone ogni giorno non facciano altro che impegnarsi, loro malgrado, in qualcosa: con la banca a restituire i soldi del mutuo o con il concessionario a pagare le rate dell’auto, con il dietologo a perdere 7 chili in due mesi o col cardiologo a smettere di fumare, con il datore di lavoro a rispettare orari e regole, con la scuola, con mamma e papà, con gli amici a non bidonare la partita di calcetto o il giro in bici della domenica e via via. Ecco, allora viene da sorridere a pensare che una persona, obbligata ad impegnarsi praticamente con tutto e tutti dalla mattina alla sera, poi decida, quasi colto da slancio libertario al grido d’ingiustizia “j’accuse!”, a dire per una volta e liberamente “No, non mi voglio impegnare”. Il che significa però in questo caso non volersi impegnare a continuare a voler bene a chi ce ne vuole, a frequentare una persona con cui stiamo bene, ridiamo, facciamo cose carine et cetera et cetera.
Niente di più assurdo, no?
E non è che si paghino soldi o si firmino contratti. Niente di tutto ciò. Eppure quella persona decide di dire di “no”, di non impegnarsi nell’unica cosa gratuita e gioiosa che può avere, (a meno che uno non finga) e cioè un po’ d’amore. Resto basita ogni volta che ci ripenso. Una volta si parlava di horror vacui. Oggi, bombardati forse da tutto, c’è l’horror pleni! Paura di stare insieme, paura che qualcuno ci venga a chiedere il conto, che si debba dare un ritorno, pagare pegno. Quando non si capisce che il ritorno è l’amore stesso, sempre che qualcuno sia davvero ancora capace di amare.
In effetti basterebbe prendere come assunto di base un elemento semplicissimo, e cioè l’idea che tutto può finire, anche l’amore. E agire in base alla più semplice e più ricercata delle virtù: l’onestà. Difficile? Forse, ma certamemte non è più facile continuare a mentire a se stessi e all’altro, cercando di fuggire da niente o da tutto. O anche da quella che potrebbe essere la felicità.
Perché, ammettiamolo, la felicità fa un sacco paura. Buonanotte.