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Scuole “chiavi in mano”

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Come abbiamo recentemente accennato in altro articolo, ora ci sono anche le scuole “chiavi in mano”. Il mercato della speculazione immobiliare non si fa scrupoli nemmeno quando si tratti di risolvere i problemi dell’educazione e dell’istruzione anche attraverso la costruzione degli edifici  che ancora si ha l’ardire di pensare e realizzare per rinchiudere, controllare ed addestrare durante parte della giornata bambini e adolescenti. Abbiamo già detto molto sulle tendenze dell’architettura scolastica attuale ma non avevamo mai affrontato un mercato che si sta evolvendo in modo invadente e pericoloso. A partire dalle speculazioni sulle catastrofi naturali  è nato un business delle “casette”, delle “scuolette” e in generale di quel coacervo di edilizia pubblica che dall’emergenza e dall’urgenza tende a diventare ordinaria follia. Spesso si sono uniti in terribili joint ventures multinazionali pseudoilantropiche del pret-à-porter dell’arredo con aziende locali e nazionali dell’edilizia di pronto consumo che promette, fino a prova contraria, tempi rapidissimi, miracoli strutturali, ecologici ed innovativi. Allora imperversano nuove interpretazioni del balloon frame di derivazione coloniale americana, travi e pilastri lamellari, tetti aereati e ventilati, pareti rotanti (come le lame di jeeg robot!),materiali ipertecnologici che mi fanno venire in mente ogni tanto come un tempo si ardì di vendere perfino agli ai ricchi arabi una foresta di finte palme di lamellare! Ma queste strutture sono veramente utili all’abitare dignitoso?

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Sono utili ad una concezione veramente innovativa dell’educazione, della salute, dell’amministrazione? Sono veramente economiche a conti fatti? Non è che le strutture fondanti in cemento armato (la parte immmersa dell’iceberg) costano più della scuola stessa? I materiali sono salubri? Quanto durano? Sono pericolosi? Ai posteri l’ardua sentenza?

Nota:
"Di recente poiché la formaldeide è stata riconosciuta dall’International Agency for research on Cancer come sostanza cancerogena, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato in 100 microgrammi per metro cubo la soglia che non andrebbe superata nei locali chiusi (più dei 10 stabiliti nel 1995, che tenevano conto delle categorie a rischio, bambini e asmatici).
 Occorre evitare l’acquisto di strutture, pannelli e mobili con formaldeide cercando quelli con il marchio CQA-Formaldehyde E1 che contraddistingue le produzioni di pannelli a bassa emissione di
formaldeide, rispondenti ai requisiti imposti dalle normative internazionali in materia.
L' APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici) ci spiega che oggi è disponibile un sistema estremamente semplice in grado di misurare in due ore la concentrazione di formaldeide presente nell’ambiente."

Intanto proliferano palestre, scuole, municipi, case popolari “chiavi in mano” come tanti mercatini natalizi sudtirolesi o come tanti kit del fai da te dell’arredo domestico. Il legno delle strutture spesso viene camuffato da paramenti esterni e cappotti che incarcerano spazi e volumi, i truciolati o similari pieni di collanti ed impregnanti vengono nascosti prudentemente alla vista fino al primo inconveniente o al primo allarme-salute. Intanto la velenosa formaldeide che permea tante strutture lignee e plastiche dorme fino a che non comincerà a rilasciare i suoi dannosissimi effluvi anche peggio dell’amianto, dicono alcuni scienziati. Ma gli accattivanti colori, le forme ammiccanti di quei pochi edifici esteticamente appena accettabili che gigioneggiano una architettura “d’avanguardia” scimmiottando le nordiche ipocrisie, hanno convinto, ahinoi, ingenui genitori, insegnanti, presidi come anche meno ingenui architetti-mercanti con i loro carnet  interi di scuole, scuoline  e scuolacce di ogni genere o, peggio, gli amministratori locali di tutte le tendenze, con l’occhio vigile, come minimo, alle prossime elezioni.

Non siamo affatto d’accordo, in linea con le nostre idee e ricerche, sul costruire ancora scuole e altri edifici o casamenti di pubblica utilità come si è fatto e si fa ancora ma se  la marea non si fosse arrestata e non tutti si fossero ancora convinti della bontà di una rivoluzione sottile dell’educazione, della città e dell’architettura , almeno bisognerebbe contenere i danni di questa fase che consideriamo assolutamente ed ineluttabilmente solo transitoria.

Per un concreto aiuto ecco un collage di immagini e suggestioni illuminanti del mercimonio che si fa anche dei luoghi dell’apprendere con la connivenza di politica, impresa e ,ahimè, anche di professionisti e accademici. Le “buone” e le “belle” scuole bipartisan.

La città educante. Qualcuno si muoverà?

 

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Per le feste invernali abbiamo voluto fare un dono alle amministrazioni comunali del nostro circondario, sulla direttrice della Valle del Foglia da Pesaro a Urbino, passando per Montelabbate e Vallefoglia. Gli ineffabili sindaci dei luoghi più importanti  si stanno distinguendo, rigorosamente bipartisan, sulla vecchia via della costruzione di nuovi edifici scolastici (o reclusori scolastici, come li chiamavano Papini, Illich e tanti altri). Abbiamo donato una copia del nostro saggio-racconto sulla scuola diffusa: “La città educante. Manifesto della educazione diffusa” con la seguente dedica:

“Spettabile amministrazione,

così come ho fatto con altre città, sindaci e assessori propongo la lettura del volumetto che allego in omaggio con la speranza che ci si decida in futuro ad intraprendere la strada della educazione diffusa evitando lo scempio della costruzione di nuovi reclusori scolastici. Qualche amministrazione illuminata e rivoluzionaria già ci sta pensando e  in molte realtà come Milano, Monza, Cosenza, Genova, Urbino, Cattolica, si stanno muovendo iniziative dal basso (genitori, insegnanti, cittadini) per sperimentare forme di educazione diffusa in luoghi diversi dagli obsoleti edifici scolastici. E’ un dono per le feste d’inverno di cui spero possiate far tesoro.”

“Si moltiplicano le occasioni di uscire dalle aule scolastiche ma, ahinoi, si deve ad un certo punto inesorabilmente rientrarvi. Se non si identificano, trasformano e rivoluzionano i luoghi della città che potrebbero fare da scenari per ospitare l’educazione diffusa, temo che il nostro Manifesto possa restare ancora per molto sulla carta. Bisogna convincere e vincere le resistenze dell’apparato politico, scolastico e amministrativo e “costringerlo” in qualche modo a fare dei passi significativi verso la direzione di una città che educa. Se da una parte si insiste pervicacemente sull’aria fritta e sull’idea ancora mercantile e classificatoria della Buona scuola e dall’altra, come splendidi carbonari, si fanno esperimenti di educazione diffusa e progetti decisamente rivoluzionari, spesso con rischio di predazione e strumentalizzazione da parte di certa politica da folla manzoniana ma di dubbia valenza libertaria, le strade rimarranno divergenti e vincerà ancora quella falsamente innovativa delle tre “i” e delle tre “c” (inglese, informatica e impresa; conoscenze, competenze e capacità). Quando siamo stati ospitati, raramente, in qualche consesso istituzionale, per illustrare il nostro Manifesto si aveva la forte impressione di essere gli eccentrici fricchettoni di turno che facevano audience e stimolavano la curiosità per un attimo di divagazione dalle cose “serie”. Occorre infiltrarsi e contaminare attraverso progetti e interventi sempre più frequenti, reali e diffusi gli spazi lasciati liberi e contemporaneamente ma decisamente agire per trasformare la città, contrastando la costruzione di nuovi reclusori scolastici a favore della realizzazione dei portali della città educante e della trasformazione degli spazi che hanno in nuce la vocazione alla controeducazione come le piazze, le strade, le biblioteche, i musei, i teatri, le botteghe…”

 Chissà che non si cominci da qualche parte a sperimentare altre strade architettoniche, anche se, per il momento, sembra che si voglia perseverare diabolicamente nello sprecare risorse per demolire, progettare e costruire scuole su scuole anche come monumenti propagandistici per le amministrazioni di turno. Quando abbiamo provato prima timidamente e poi un po’ meno a far presente che ci sarebbero altre strade più innovative ed efficaci, oltre che economicamente sostenibili, siamo stati snobbati, derisi  o addirittura insultati. Così va il mondo da queste parti. Le “nuove” scuole, sulla scia dello slogan delle “belle scuole” governative, in fin dei conti sono anche architettonicamente ed esteticamente discutibili, falsamente ecosostenibili (dove si prende il legno? e le tonnellate di cemento e ferro per fondazioni impossibili?..) nelle loro forme che scimmiottano un opificio, un centro commerciale, un albergo o una stazione. Se non fosse bastato il Manifesto della educazione diffusa, presto un manualetto più pratico di idee su come Disegnare la Città educante. Un distillato digitale prima dell’uscita del cartaceo, spero a Gennaio-Febbraio 2018. Buone feste a tutti i cittadini di buona volontà!

Giuseppe Campagnoli 25 Dicembre 2017

 

Vedere per credere…

 

The scattered school: beyond the classrooms

 

The scattered school: beyond the classroom.

Translation by Emilio Campagnoli, Samantha Broker and Rosa Serena Tetro

Versione in italiano:
la-scuola-diffusa-oltre-le-aule

 

My classroom en plein air. Giuseppe Campagnoli 2013

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Research on architecture for learning and on what are called education facilities or school buildings is growing. But not all that glitters is gold and in my experience I have noticed that, as Manfredo Tafuri said, at least 9 books out of 10 must be read diagonally. I have not found anything actually new and groundbreaking in literary essays and experiments carried out in Europe or elsewhere in the world.

Change can start from an idea that is already described in my book The Architecture of School published by Franco Angeli, Milan, 2007. In the book I suggest an innovative idea of learning spaces. It is time to start a wider debate and, hopefully, put the ideas into practice.

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“The Architecture of School

An idea for culture and learning spaces

 “The Architecture of School, to paraphrase the title of the famous book Architecture of the City by Aldo Rossi, is the result of more than thirty years’ experience in the field of culture, art, school, architecture and public administration. It is neither a handbook on the theory of design, nor a technical essay. On the contrary. It is partially an auto-biographical reflection, a “poetical” proposal addressed to designers, administrators and workers in the field of cultural heritage and education. It aims to finally build and strengthen the idea of learning spaces and the exhibition of culture beyond fashion, clichés and the lack of expertise of many -maybe too eclectic – professionals.The first part of the book, after a short theoretical introduction, contains an historical-architectural digression and a summary of the functional and formal evolution of the places in Italy where culture, pedagogy and didactics are created and shared.

The second part which consists of many chapters regarding many compositional and planning aspects, presents the concrete proposal for a new architectural style for buildings which are usually neglected.  The only exceptions are the rare “white elephants” and “monuments” to administrators, to sponsors or to “famous architect divas” of the time. At the end there is a series of pictures, as well as the author’spersonal thoughts and experiences, which conclude the topics discussed in the book with an open view.

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