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La meritocrazia. Un falso mito.

Mi sono fatto persuaso, come direbbe il Commissario Montalbano, che le questioni di meritocrazia di cui tanto si parla, a destra, a sinistra (!) in alto e in basso, nel lavoro, nell’amministrazione, a scuola, nelle università etc. siano falsi miti, pericolosi e iniqui nella sostanza. Il merito sembra essere diventato la foglia di fico del neo-neoliberismo a destra come nella sedicente sinistra.

Affinché il concetto corrente di merito possa essere valido e giusto dovrebbero essere assicurate alcune fondamentali propedeuticità: la parità di condizioni di partenza (economiche, culturali, sociali, di salute..) la parità di trattamento durante le attività (di lavoro, di apprendimento..), l’assenza di discriminazioni in base al sesso, alla razza, alle convinzioni religiose, ideali e politiche e l’assenza di ostacoli esterni e indipendenti dalla propria volontà. Chi sproloquia ad ogni angolo di merito ne tratta a prescindere dalle condizioni o ha tenuto conto dei requisiti basilari affinché sia garantita a tutti la libertà e l’eguaglianza nello svolgimento dei propri compiti e doveri? La meritocrazia credo, ahimè, che non possa prescindere, per come è strutturata la società in occidente e, peggio, in oriente e nel terzo mondo, dal concetto di competizione e competitività esasperate tutte legate al mercato ed alla classificazione anche quando si tratti di istruzione, salute, benessere e sicurezza.

Il merito legato alla competizione è quindi una parola d’ordine liberista e non libertaria, una parola d’ordine fondata sulle disuguaglianze e su parametri di giudizio livellanti e non adattabili alle diversità delle persone che dovrebbero essere considerate e salvaguardate.  Chi la usa non può definirsi progressista e liberal ma tuttosommato neppure pragmatico e concretamente positivo.. Da molte parti, partendo dal campo educativo e non solo si sta affrontando una rivoluzione culturale che tende a ridurre se non ad eliminare la competizione, nemica dell’apprendimento, del lavoro e del raggiungimento di obbiettivi di qualità, in netta controtendenza rispetto a quanto si è creduto finora. I risultati di tale inversione si stanno già apprezzando ma faticano molto ad affermarsi e diffondersi.

Poiché la natura, come si sa, non ama fare  salti sono convinto che ognuno abbia in nuce  uno o più talenti. Il compito della società è allora solo quello di aiutarci a scoprirli e valorizzarli, non invece quello  di premiare solo chi abbia avuto la fortuna, l’avventura o i mezzi di poterli utilizzare perché già palesi ed evidenti. Chi dà al massimo delle proprie capacità merita lo stesso compenso di chi ha avuto fortuna e talento. Questa è equità. Continua la lettura di La meritocrazia. Un falso mito.

Lavoro? Salario minimo? Reddito universale? Patrimoniale?

 

Salario minimo? Salario garantito? L’arte di una economia giusta e sostenibile.

Quando si tratta, si studia, si disquisisce e si pontifica di economia non ci si muove mai al di fuori del quadro di riferimento capitalista e liberale, quando non addirittura liberista. Persino le religioni e il nuovo socialismo democratico di sinistra considerano ineluttabili la ricchezza e la povertà e come uniche azioni possibili propongono di ridurre il gap, fare l’elemosina o agevolare gli “ascensori sociali”. Una via diversa ci sarebbe, una via che mette insieme veri principi socialisti ed egualitari, evangelici e buddisti, tutti principi di umanità. Sorvolo sulle teorie economiche storiche e su quelle in vigore che nella migliore delle ipotesi tendono solo a mitigare gli effetti perniciosi del libero mercato, della globalizzazione e delle speculazioni economiche e finanziarie. Produrre beni e servizi dovrebbe essere possibile anche eliminando il cosiddetto “plusvalore”. Le eccedenze di un equo profitto, strettamente legato ad un adeguato compenso degli operatori per una vita dignitosa ed equilibrata (dagli operai, ai quadri, ai dirigenti e ai padroni) ed alle spese di produzione dovrebbero essere destinate per intero ad investimenti per il miglioramento tecnologico, della qualità e dell’innovazione. In ogni attività debbono essere impediti l’accumulo e la speculazione, deve essere proibito produrre danaro con altro danaro mentre beni come la salute, l’istruzione, la casa e l’alimentazione non dovrebbero assolutamente essere oggetto di investimento speculativo e produttore di reddito. Il reddito dovrebbe venire dal lavoro e dallo scambio di beni e servizi in linea  con i principi delle leggi costituzionali universali e nazionali che concepiscono (per ora e finché non ce ne libereremo) il lavoro come attività nobile tesa al servizio collettivo e ad assicurasi niente di più che una vita dignitosa e, naturalmente, comprensiva di pane (istruzione, casa, cultura, salute..) e companatico (viaggi, tempo libero, cultura…).

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L’accumulo, il successo e la speculazione di gruppi e singoli sembrano invece essere lo scopo principale della vita quasi sempre a discapito dei propri simili magari solo più sfortunati o socialmente deboli per nascita, censo o disparità di condizioni di partenza.

Particolarmente evidenti ed esasperate queste caratteristiche  sono nel lavoro privato e nell’imprenditoria piccola e grande dove la competizione e la guerra economiche sono finalizzate quasi esclusivamente al profitto teso ad assicurarsi un plusvalore sempre immeritato perché frutto  di meccanismi mercantili aberranti e iniqui ma, ahimè, accettati anche da certa sedicente sinistra e al nuovo che avanza (che si dice, forse ingenuamente forse no, nè di destra nè di sinistra) convertiti per opportunismo al neo capitalismo sempre più feroce e aggressivo forse perché moribondo nella piccola e grande scala, dagli autonomi alle grandi banche e imprese anche finanziarie.

Provo a costruire una formuletta sommaria per descrivere una via virtuosa ad una economia sostenibile e socialmente equilibrata, valida universalmente.

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Tutto parte dal lavoro e solo da questo ( ma sarà poi giusto il lavoro?) perché abbiamo escluso qualsiasi speculazione su beni e patrimoni, compresi quelli prodotti da investimenti pregressi, eredità e  lotterie (che andrebbero abolite).La proprietà è ammessa per i propri bisogni primari e strumentali non replicabili (casa, negozio, auto, opificio, macchinari produttivi etc.) perché limitati ad una attività finalizzata a quella vita dignitosa di cui si è detto. “Plafonner les revenues” e limitare il gap tra salari e patrimoni minimi e massimi tassativamente applicando il fattore 12 attraverso la tassazione sui reddditi e sui patrimoni, tutti. Una formula semplice ma che nessuno vuole applicare iniziando quasi da zero, con coraggio, contro speculatori, banche, multinazionali, mercanti e accentratori di beni e patrimoni, finti promotori di un mercato solo apparentemente più giusto.

Giuseppe Campagnoli

La scuola e la politica. Ma la città educante continua ad andare avanti, malgrè tout.

Continuano i tentativi di strumentalizzazioni e ostacoli sulla via della vera educazione diffusa. Due facce della stessa medaglia?

Ecco un’appendice di riflessioni significative alla nostra avventura nella divulgazione del Manifesto della educazione diffusa per una città educante.  Ad ogni passo è stato necessario distinguere il grano dal loglio con molta prudenza. Abbiamo avuto a che fare, nel  percorso,  ormai lungo un biennio, di avvio del progetto attraverso la presentazione del volume “La città educante. Manifesto della educazione diffusa” (Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli, edizioni Asterios Trieste) e gli incontri, i seminari, i convegni promossi da associazioni, scuole, amministrazioni comunali, politici, giornalisti, genitori, insegnanti e presidi, Università ed enti vari, anche con le mire propagandistiche ed elettorali di partiti al governo e all’opposizione, di giornali e tv, associazioni e gruppi di varia estrazione, a volte per ostracizzare e boicottare, a volte per lusingare ad usum delphini e cavalcare l’onda del bisogno di cambiamento purché sia. Io stesso ho rischiato seriamente di  cadere in qualche tranello da propaganda elettorale per ingenuità o per eccessiva fiducia nelle persone che in malafede avevano tentato di coinvolgermi.

Col senno di poi sono riuscito ad evitare altre imboscate  di segni opposti mentre come contraltare  ho avuto la grande soddisfazione in diverse occasioni di condividere le idee della educazione diffusa e della scuola senza mura e confini, con scuole, insegnanti, libere associazioni, genitori e studenti, senza secondi fini e senza mercato.

 

        

 

Avevo già scritto una nota in merito ai tentativi di apporre etichette più o meno tendenziose al nostro progetto di educazione diffusa. La libertà è la nostra bandiera, per una rivoluzione sottile della educazione e della città che per sua natura non  si può legare a nessuno né avere sponsor di partito o ideologici (le idee si, le ideologie no). Ben vengano invece le amministrazioni pubbliche o private, i sindaci e i presidi, e anche i provveditori (anche se non sono più tali) illuminati che siano disponibili a sperimentare e a cimentarsi con la vera innovazione  da attuare attraverso vie lunghe e irte di ostacoli nella loro città e nei loro territori. Per quel che mi riguarda mio considero un libertario nelle mie, non ancora superate perché raramente realizzate, idee del mondo, dell’educazione e della vita. E’ pericoloso oltre che falso sostenere che non esistano più le categorie della destra e della sinistra e lo si fa in genere per creare confusione a favore di un equivoco tutti contro tutto o di una parte retriva, conservatrice, intollerante, nazionalista ed egoista che si pone contro quel tutto che ama la libertà, l’accoglienza e l’equità sociale. Sappiamo da diversi segnali e movimenti nel mondo che la sinistra delle idee esiste-rà finché ci sarà ricchezza e povertà, superstizioni dominatrici, sopraffazione, capitalismo, guerre e fame. Essa deve solo riflettere ed unire chi crede ancora nell’eguaglianza, chi non confonde tra libertà e liberalismo o liberismo e tra sicurezza e intolleranza. Esisterà per chi non ama il mercato in tutte le sue forme, per chi crede che l’ambiente, la casa, la salute e l’educazione siano un diritto inalienabile e non vi si possa fare speculazione di nessun tipo mentre  debbano essere sottratte a qualsiasi mercato. Nel caso della città educante, come l’educazione anche l’architettura non può avere una connotazione prevalentemente mercantile, perché è un’arte per l’uomo e per l’ambiente. Il suo sposalizio con l’educazione può costruire la città che educa conservando e trasformando spazi, costruendone di nuovi, belli ed accoglienti dove apprendere, scambiare, cercare ed errare. Per questo non ci arrenderemo e il progetto andrà avanti con chi sarà disposto a condividere questo sforzo senza altri profitti se non quelli della comunità e del suo futuro. Il progetto andrà avanti mettendo a punto gli strumenti concreti da suggerire a chi vorrà provare a sperimentare l’educazione diffusa sia dal punto di vista pedagogico e didattico che da quello dell’architettura che tende a trasformare la città ed avviare il processo graduale di sostituzione dell’edilizia scolastica con portali, basi, aule vaganti, musei, teatri e botteghe, officine, ateliers, piazze e strade educanti recuperando a nuova vita sia il concetto di educazione che quello di città.

Giuseppe Campagnoli 17 Marzo 2019

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