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Gli amici che “contano”

Prendo le mosse da un’eccezionale riflessione del mio amico e “socio” di studi in campo educativo Paolo Mottana: “Il grande nemico: il pensiero calcolante”, per qualche breve memoria di supporto a questa indiscutibile idea del vivere. Scrive ad un certo punto Paolo:

“Ma cos’è, cosa significa concretamente imperio della ragione strumentale? Meglio ricordarlo: anzitutto e in termini generali commisurare tutto in base all’utile che se ne può ricavare e mai a ciò che qualcosa è o merita intrinsecamente. Applicato alla vita quotidiana ciò significa che si misura il tempo da dedicare a qualunque cosa in base all’utilità, al beneficio, spesso in termini di danaro o successo personale, che se ne può trarre. Anche nei rapporti umani, nell’amicizia e persino nell’amore. Una persona spesso si cerca solo per sfruttarla, o sfruttarne le conoscenze. Un amico o un amore si abbandona quando non ci serve più o quando, con il gergo che ormai abbiamo adottato disinvoltamente, ostacola la nostra realizzazione personale. O quando addirittura, peccato mortale per lui o lei, lo appesantisce con le sue richieste in contrasto con le nostre esigenze e urgenze.”

Percorrendo la mia esistenza dagli esordi ai giorni nostri in ambito parentale, studente, professionale, amicale, amorale (da amore o quel che si dice sia) ho purtroppo rilevato molti, troppi conti, numeri e misure. Tanti che facendo la tara è rimasto poco o nulla. Questa contabilità è spesso terribilmente prossima all’aberrante concetto di merito che permea ogni angolo della vita. Posso citare a memoria e brevemente solo alcuni episodi cruciali ma non necessariamente emergenti.

Mi promisero un tempo (quando c’erano gli esami complementari, gli assistenti, le gavette al seguito di baroni e baronetti) una carriera accademica solo che avessi garantito l’apertura e la cura di una succursale di studio di progettazione completamente gratis e con un gravosissimo impegno di procura di clienti. Il mio senso della misura (appunto) e le risorse familiari inesistenti mi preclusero questa strada già mercantilizzata in partenza.

Quasi nello stesso periodo mi ingannarono prospettandomi subliminalmente, facendo i conti su di un finto innamoramento effimero e fallace, una vita piuttosto agiata in cambio di un matrimonio da principe consorte di una famiglia di bottegai, non proprio intellettuali, cui avrei dovuto fare da vassallo rinunciando anche ai miei ideali artistici, professionali e pure politici. Anche qui resistetti, mollai nel breve lasso di poco più di un anno e ne ricevetti dopo poco un lutto tragico oltre all’eredità di una prole già fagocitata dalla stessa genìa e in seguito poco e male frequentata con uno strascico mai finito di danni e sofferenze.

Ci furono amici provvidenziali a quel tempo, amici che non smetterò mai di ringraziare ma che alla fine, sempre per motivi conclamati di contabilità e opportunità, sono scomparsi all’improvviso dal mio orizzonte insalutati ospiti.

Un giro di boa apparentemente radicale avvia un periodo decisamente positivo su tutti i fronti ma non su quello delle relazioni e delle amicizie. Una frotta di amicizie che si tengono ben salde in costanza del mio successo professionale e dell’apparato scolastico per sfumare invece poi lentamente ma inesorabilmente alle soglie del pensionamento e dell’abbandono degli impegni amministrativi e professionali.

L’ esordio in una nuova attività piena di voglia di rinnovare e rivoluzionale le idee di quegli spazi che mi avevano deluso in precedenza, la scuola e l’architettura, mi fanno incontrare, per estrema affinità, persone eccezionali e disinteressate con cui prosegue un sodalizio tuttora proficuo, appassionante e coinvolgente anche alla mia ormai avanzata anagrafe. Parallelamente appaiono amicizie collegate all’ambito famigliare e filiale che dopo un periodo apparentemente sano e condiviso subiscono invece la medesima triste sorte di altri labili rapporti. Anche i figli nel frattempo raccontano sequele di esperienze negative in questo campo di relazioni avvelenate da opportunismi strumentali ben mascherati da questa cultura del pensiero calcolante. Scrive infatti anche Paolo Mottana: “Temo che non sia più recuperabile perché la vedo sempre più diffusa nei giovani, nel loro modo di gestire le relazioni, gli amori, i programmi di vita, il tempo. Anche in loro avverto la fine della gratuità, della passione, del piacere, a favore del calcolo, del cinismo, del discincanto, dell’ironia e del sarcasmo.

Una ultima perla in ordine di tempo di questa cultura ce la offre proprio una amicizia che mi era parsa tanto solida, in momenti in cui le nostre qualità potevano essere ben utili, quanto invece si è rivelata progressivamente e subdolamente labile, effimera e caduca quando il tornaconto è venuto meno e parallelamente sono comparse strane diffidenze, piccoli e banali contrasti, presunte invidie mai rilevate prima neppure sottotraccia. Anche questa esperienza è finita malamente e forse in parte senza altra motivazione che quella appunto del pensiero calcolante. Un vero peccato.

La relazione o l’amicizia dovrebbero invece volare, credo , sopra ogni difficoltà anche di caratteri e intemperanze per capirli invece di misurarli, giudicarli e condannarli, a volte perfino in contumacia! Non riesco e non voglio entrare nelle vicende di studio e di esordio nel mondo del lavoro dei giovani in un mondo che mi è parso sempre più dominato da questo pensiero in chi offre posizioni, attività, opportunità, in chi si pone come mentore o collega e complice di insegnamento o ricerca, spesso ad usum delphini nonostante e forse a dispetto di vere passioni, saperi, abilità dimostrati più nel dire, nello scrivere e nel fare che nell’essere misurati o classificati.

Mi piace chiudere questa teoria di pochi ma per me emblematici esempi con la chiusa di Paolo Mottana:

Non mi illudo ma non posso fare a meno di denunciare ancora e ancora, insieme ai tanti che mi hanno preceduto e che combattono con me, questa egemonia distruttiva. Un dominio che sta facendo a pezzi la nostra vita, le sue zone più amabili, quelle dell’amore, della passione, della gratuità, dell’utopia e dell’immaginazione, del piacere di esserci oltre ogni ricatto economico. Ovvio, il calcolo non è il male assoluto in sé ma lo diventa nella misura in cui assume la guida totalitaria del nostro comportamento. Mi dimenticavo di dire che al fondo, o al termine della ragione calcolante ovviamente ci sono il vuoto, il gelo sentimentale, l’estinzione della vita, lo sterminio.”

Giuseppe Campagnoli dicembre 2022

Anarchia e libertà

“L’obiettivo di una società senza gerarchia non esclude affatto l’esistenza di un’organizzazione sociale che favorisca la responsabilità di tutti”.

Cito di nuovo da un’intervista di Michel Némitz di Espace Noir:

“Ho fiducia nelle scelte della comunità scientifica e non parlerei mai ad un bancone da bar o di un social  come se fosse un epidemiologo… Occorre mostrare dissenso ma anche  comprensione e mutualità quando sorge un grosso problema sociale.  È comprensibile rispettare gli interessi individuali  di ciascuno evitando il più possibile i vincoli inutili ma è necessario rispettare quelle regole comuni che sappiamo essere buone per tutelare l’intera collettività.  La libertà non può essere esercitata senza responsabilità e coloro che protestano contro coloro che senza secondi fini  tutelano la salute collettiva  difendono solo la nozione di “me” e non pensano affatto al termine “noi e loro” perchè  non hanno un pensiero collettivo.   Se accettiamo vincoli evidenti saggi ed ineluttabili di fronte ai mali che la natura diffonde spesso per nostra colpa, non è tanto per paura di noi stessi quanto per il desiderio di darci i mezzi per uscirne il più rapidamente possibile con il minimo dei danni.”

Oggi la confusione artefatta, in mala fede o in buona ignoranza delle cose più elementari regna e si diffonde. Prendono slancio idee pericolose perché aristocratiche e settarie ed è utile ribadirne l’essenza. Non vedo nulla di libertario e collettivo in certe posizioni sulla scienza, sulla natura, sull’educazione. Mi ripeto non a caso perché le citazioni e i post che riportano detti e aforismi di taluni personaggi che hanno fatto dell’ambiguità e del dogmatismo insieme il loro leit motiv si stanno moltiplicando in queste settimane. Tante consorterie, erano e sono decisamente contro la scienza in toto, anche quella scienza che è strumento di per sé neutro e utile, finanche anarchico perché fa del dubbio un elemento importante ma non autarchico. Quella scienza che può essere usata per il mutuo appoggio o, al contrario, per il profitto o il dominio. Uno strumento appunto.

Su questi ed altri argomenti Imperversano vaneggiamenti di gran moda oggi e che purtroppo echeggiano in tanti discorsi di questi tempi non proprio edificanti e per menti e bocche inimmaginabili.

Come quelle degli “spiritisti” che ahimè non sono in solitaria insieme alle farneticazioni degli teosofisti, degli antroposofisti e dei naturisti misticheggianti come dei nazionalsofisti e degli anarchici di destra, contro lo Stato per essere liberi di speculare, rubare e dominare senza regole.

Restando nel campo pseudo libertario (vedi in Lezioni di Anarchia Edicola 518: Si rinunci all’ingenuità ma anche alla mera speranza: perché la ribellione è un fatto istintivo, mentre l’anarchia è una squisita questione progettuale) cui tanti immeritatamente si ascrivono mi piace ricordare per i fans acritici di Agamben questo suo, a mio parere un po’ ambiguo, pensiero ripreso in una recensione di una nota rivista, non certo liberista, francese che fa a mio avviso da emblema del suo pensiero.

“In questo piccolo libro limpido e radicale, sèguito di altri saggio appassionanti come “Il fuoco e il racconto” oppure “Nudità”,Giorgio Agamben va ancora più lontano e approfondisce un’idea di Walter Benjamin “Il capitalismo come religione” che ribalta il nostro modo di pensare: l’anarchia invece di essere il contrario del capitalismo non ne potrebbe essere invece l’essenza? Agamben fa notare che: “un potere non cade quando non gli si obbedisce più ma quando cessa di dare ordini” Questo sarebbe il senso stesso della crisi senza fine dei governi occidentali. Oggi il danaro vale per sè stesso e quindi non vale nulla. Non c’è quindi più bisogno di credere in lui. Svuotandosi di ogni rapporto con la fede la società ha realizzato a pieno la sua perversione.” L’anarchico di destra appunto. Il falso anarchico fautore di un potere che ne sostituisce un’altro, come il nazionalismo, il fascismo e le aberrazioni del comunismo.

Pensiamo invece a come il capitalismo e i poteri che lo usano e difendono siano stati e siano in grado di digerire ed usare a vantaggio delle sue corporazioni qualsiasi dissenso ingenuo e acritico. Riescono perfino a spingere gruppi interi di persone ad occuparsi dell’inutile e superfluo o a combattere contro tutt’altro rispetto a ciò che invece sta pericolosamente accadendo nel riconsolidarsi di quella normalità cui masochisticamente aspirano anche coloro che reclamano generiche e irrazionali libertà . L’unico effetto di tutto ciò è che ci si espone senza alcuna ragione ad una repressione certamente ingiusta ma diretta contro chi guarda solo il dito e non la luna intera. Sono sempre convinto che sia meglio convincere (cioè vincere insieme) che vincere tout court e quello che scrivo spero possa servire a questo. Non facciamoci fregare da chi ci vuole carbonari ed egoisti a tutti i costi per avvalorare come giuste e buone le maggioranze provvisorie di classi e gruppi non proprio edificanti insieme alle minoranze tanto esibizioniste quanto autolesioniste soprattutto in quei campi essenziali per la nostra vita: la natura, l’educazione, la scienza, l’economia. Credo che non abbiano un pensiero collettivo né gli uni né gli altri.

Scrive Umanità Nova:

Fare a meno dello Stato padre e padrone, delle divinità comunque intese e dei dogmi di ogni tipo è possibile. Renderlo una prospettiva concreta dipende dalla nostra capacità di costruzione di spazi di autogestione della vita e della salute in una natura che è quello che vediamo e sentiamo non che elucubriamo.

Pasquino 2022

Turismo sostenibile e non solo.

Il turismo mercantile e la questione delle abitazioni. Un racconto.

Un’altra tappa, questa volta italica, della serie di come trasformare un viaggio che aveva buoni propositi di sostenibilità e moderazione in una ennesima prova dei soliti speculatori anche improvvisati di cui le zone diventate appetibili per gli invasori delle spiagge, dei luoghi storici e culturali, delle montagne e della natura in genere, sono un campo di battaglia privilegiato oltre che la dimostrazione di come sia degenerata pesantemente la questione delle abitazioni. Dico il peccato ma non il peccatore. Uno dei tanti luoghi in corso di massacro e di privazione delle disponibilità per chi non ha casa, sparsi in Italia ma anche altrove.(abbiamo avuto esperienze simili in Spagna, Grecia, Normandia, Costa Azzurra…)

Questo articolo è il sunto di una valutazione del gruppo di viaggiatori incappati in questo soggiorno-tipo e di alcuni occasionali ospiti oltre che delle riflessioni ad ampio spettro che ne sono scaturite.

Nei siti di propaganda e attiramento dei gonzi per le dimore turistiche e le case vacanza in genere ci sono gallerie di foto delle offerte, spesso senza distinzioni tra le diverse soluzioni e immagini ben studiate per non mostrare la realtà.

Al primo colpo il bene venduto in locazione non appare assolutamente come si potrebbe intuire dall’offerta nonostante la bella mostra di frutta, tarallucci e vino (un presagio?). Ma non è questo l’unico problema. Le riflessioni travalicano ben presto il campo turistico e ricreativo e la sua qualità per approdare alle tematiche abitative e sociali.

Nonostante la declamazione esaltante del luogo e dei servizi, compresa la bella e accattivante gita in barchetta offerta forse per un anticipato perdono, appena in possesso dell’alloggio è facile di primo acchitto fare una descrizione sommaria di problemi che anche altre volte abbiamo incontrato ma mai,veramente come in questo caso.

◦ prenotato per quattro persone ma dove mettere la roba di 4 persone senza alcun vero armadio se non un appendiabiti risicato in coabitazione col ripostiglio?

◦ due spazi per dormire impraticabili con dimensioni al di sotto delle norme e un solo comodino per letto doppio, unico arredo disponibile. Gli spazi sono ricavati da un unico tramezzo in cartongesso e cielo in vista (rumori, luci, odori…). Si poteva definire meglio un dormitorio comune.

◦ scala a chiocciola impossibile forse adatta a sommergibilisti o pompieri e pericolosa pure per loro.

◦ nessun piano di appoggio mensole o simili se non le sedie della cucina e dei terrazzini.

◦ non avvistati divani o poltrone da interno per fare una pausa tra l’inferno di calore del primo piano e il condizionatore degli spazi letto e ingresso privi di qualsiasi seduta che non fossero i letti.

Da apprezzare la sola cucina (seppure da punte di 35 gradi centigradi fisse, nonostante ventilatore) e la bella terrazza (con geco) utilizzabile solo (per le alte temperature) in ore notturne.

Unica consolazione, l’andare in giro, al mare, all’aperto, nei dintorni, in tutta la regione e nella limitrofa Lucania seppure invasa da un turismo ferocemente ridondante bei luoghi storici, artistici e naturali. Le foto sono testimoni nel bene e nel male. So già che gli ospitanti ne trarranno prima o poi un qualche insegnamento o almeno lo spero. L’accoglienza dei viaggiatori dovrebbe essere prima un servizio alla collettività e poi un mezzo di lucro.

Speriamo che la politica si renda conto, soprattutto quella che si dichiara per il sociale e l’equità, che risolvere la questione annosa delle abitazioni non si fa agevolando il mercimonio e la speculazione sulle seconde terze e quarte case e che occorrerebbe una legislazione che limitasse il possesso e lo sfruttamento immobiliare trattandosi di bene primario al pari della salute, del cibo, dell’istruzione. Si sappia che immobili come quelli descritti e venduti per il turismo rendono quasi quattro volte più di locazioni destinate agli affitti ad un canone sostenibile per chi cerca casa. Credo che solo una volta assicurato l’uso calmierato degli immobili destinati a coprire prioritariamente e per intero il fabbisogno abitativo a prezzi accessibili per locazioni ed acquisti, se ne potrebbe fare uso mercantile e turistico comunque calmierato. Ricordo con sgomento che già negli anni settanta si parlava di milioni di vani sfitti o gettati alla speculazione a fronte di milioni di persone senza casa o costretti a contratti di locazione vessatori e capestro. Tutto è peggiorato e addirittura oggi con la criminale norma che consente gli affitti a breve periodo praticamente a tasse zero e guadagni alle stelle, ha fatto il deserto della disponibilità di alloggi per uso sociale (famiglie, lavoratori, studenti). E per di più i turisti spesso, checchè ne dicano gli astuti imprenditori, vengono allegramente anche gabbati!

Una strada potrebbe essere quella di boicottare certe pratiche speculative dal basso e diffusamente. Non dimentichiamo che la Costituzione recita all’Art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.”

Giuseppe Campagnoli.

Di ritorno da un bel giro turistico ma da una meno bella esperienza residenziale. Ho detto il peccato ma non i peccatori. Di costoro parlerò in privato ai miei amici e colleghi facendo la giusta pubblicità nel descrivere la realtà cosi come è apparsa.

Luglio 2022

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